domenica 13 ottobre 2013

Bauman: "Siamo sempre più connessi e fragili"



Incontro con Bauman, splendido ottantottenne dalle idee seducenti e dai modi gentili. Istantanea: appena finito l'incontro corre letteralmente giù dalle scale e fugge in strada per accendersi una Marlboro...



«Ogni persona passa 7 ore e mezza al giorno davanti a qualche tipo di schermo, dentro cui si chiude in una vita online più confortevole di quella offline». Il passaggio tra le due modalità è sempre più problematico ed è quello su cui si sofferma il sociologo Zygmunt Bauman, inventore della “modernità liquida”, fortunata metafora della contemporaneità. La tecnologia semplifica ma ci rende fragili e impazienti, incapaci di progettare a lungo termine, di sacrificarci per un obiettivo, dice Bauman, a Milano per un incontro di Meet the media Guru : «Per strada tutti guardano il telefonino, il tempo di attesa è sparito, come la noia».

Questo, insieme alla precarizzazione causata dalla crisi, cambia la nostra percezione del tempo: non esiste più la prospettiva a lungo termine, ma solo l’ora, il presente. «Essere “connessi” 40 anni fa richiedeva una gran fatica  – precisa Bauman -  Io ci ho messo una vita e molto studio a farmi alcune centinaia di relazioni, oggi con Facebook bastano poche ore, ma ci vuole lo stesso tempo per disfarle». L'effetto collaterale è la disconnessione e la fragilità nella vita reale, dove tutto è più arduo. Il rischio più grande poi riguarda i bambini: sempre più affidati a gadget e baby sitter digitali, per loro la distinzione tra  mondo reale e digitale non è più certa. 

Che fare? «L’obiettivo è minimizzare le perdite». Anche se non lo può fare la politica: «La gente ha sempre meno fiducia nei politici, non perché sono corrotti, ma perché non possono mantenere le promesse». Il potere vero, quello finanziario ed economico, è globalizzato, mentre la politica si muove su scala locale. Bauman  si presta a commentare anche l’attualità  della tragedia di Lampedusa: «La modernità ha prodotto persone “ridondanti” rispetto ai cicli produttivi, causando le migrazioni. Fino ad un certo punto ha prevalso l’assimilazione:  trasformare lo straniero, che fa paura, in uno di noi. Oggi non funziona più, le città sono arcipelaghi di diaspore. Le reazioni possono essere due: la mixofobia, la paura del mescolarsi che fa sì che non si permetta alle persone di venire da noi legalmente. La mixofilia invece considera la varietà attraente. La varietà è il naturale habitat della creatività, diceva Lessing. E gli europei non sono forse sempre stati creativi?»

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Pubblicato su Metro