giovedì 5 giugno 2014

Se due indizi fanno una prova

Se due indizi fanno una prova, la sequenza ravvicinata di scandali Expo-Mose dovrebbe costituire l’evidenza grande come una Grande Opera che l’illusione nella quale ci siamo cullati per qualche settimana (Tangentopoli non è tornata, sono episodi singoli, i soggetti non rappresentano un sistema) era appunto un’illusione. Abbiamo innestato la marcia indietro della macchina del tempo e ci siamo ritrovati nel mezzo di Mani pulite, solo in una versione “più sofisticata” come ha detto ieri il procuratore Carlo Nordio. Una versione dove, per esempio, accanto a imprenditori, faccendieri, politici di vario livello e diversi colori, ipotesi di reati di finanziamento illecito ai partiti come ai bei vecchi tempi, compaiono anche generali e uomini legati alle forze dell’ordine, con il compito di organizzare una rete di controspionaggio su eventuali inchieste della magistrature. A dimostrazione che almeno qualcuno, “i cattivi”, dell’esperienza di Mani pulite ha fatto tesoro e le cose non succedono invano. 

A tenere insieme il passato e il presente, Milano e Venezia, in un corto circuito che sembra scritto da un mediocre sceneggiatore, la figura dell’imprenditore Piergiorgio Baita, manager della Mantovani Spa, grossa impresa costruttrice impegnata nel Mose, fino al  suo arresto, l’anno scorso e pare gola profonda dell’inchiesta: la Mantovani Spa è anche, tuttora, l’azienda appaltatrice della piastra di Expo. E Baita si era fatto le ossa nel 1992 ai tempi della Tangentopoli veneta: arrestato, ne uscì prosciolto ma pare anche allora dopo aver raccontato per filo e per segno il “sistema”.  Adesso molti esponenti politici di primo piano sottolineano che i protagonisti di questi scandali sono residui di un vecchio mondo. Che però, a quanto pare anche nel mondo nuovo ha chiacchierato poco e lavorato molto, operoso e professionale, sempre presente nei posti giusti al momento giusto, favorito dall’abitudine “criminogena” come ha detto ieri Cacciari di lavorare sulle Grandi Opere in emergenza e in deroga. L’impressione è che questo giro ce lo siamo perso e che supercontrollori ex post come Cantone al massimo potranno salvare il salvabile. Però, per il prossimo giro, almeno una legge sull’anticorruzione come si deve ce la dovremmo meritare.
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Pubblicato su Metro il 5 giugno 2014

martedì 3 giugno 2014

Il 2 giugno fuor di parata


Il miracolo italiano

Piccola tardiva riflessione sul 2 giugno.  Per una qualche forma di contraddizione della storia da sempre la festa della Repubblica è associata alle parate: fanfare, carri armati, bersaglieri che corrono (che comunque mi commuovono sempre, chissà perché). E a chi non piacciono le parate, come a me, istintivamente non piace la festa del 2 giugno. È abbastanza sorprendente, anche  se comprensibile (la parata sancisce la dichiarazione di fedeltà  delle forze armate al nuovo ordinamento dello Stato) che proprio una rivista militare serva a celebrare un miracolo avvenuto poche volte nella storia: il passaggio da un ordinamento ad un altro, dalla monarchia alla repubblica, senza versare  una goccia di sangue,  ma solo grazie all’esercizio democratico del suffragio universale. Il 2 e 3 giugno gli italiani votarono per il referendum, come d’abitudine secondo il costume nazionale si spaccarono in due, ma comunque vinsero i favorevoli alla repubblica, 12.718.641 voti contro 10.718.502 e una decina di giorni dopo i Savoia fecero le valigie e se andarono. Certo, molto, moltissimo sangue era già stato versato negli anni precedenti.  Ma resta il fatto di come i giganti padri fondatori di allora furono capaci di transitarci da un sistema all’altro e di un’Italia capace di rigenerarsi attraverso un atto fondativo, simbolico  e anche bello.
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Pubblicato su Metro il 3 giugno 2014