giovedì 1 novembre 2018

Per Noah Raford ogni governo deve avere un Ministro del Futuro, come a Dubai

Noah Raford appartiene a quella categoria di fortunati il cui lavoro non sarà spazzato via dai robot e dall’Intelligenza Artficiale. È Futurist in chief, ossia capo futurologo presso la Future Foundation di Dubai, un team di 80 persone che lavora a stretto contatto con i ministri dell’Intelligenza Artificiale (un 28enne) e del Futuro - sì, esistono davvero- per progettare il mondo in arrivo prima che sia troppo tardi. Lo incontriamo a Milano invitato da Meet the media guru

Penso che lei sia l’unico al mondo a fare questo lavoro.
«Per quel che ne so non ci sono altri governi con una posizione simile alla mia. Ed è un male. Negli Emirati Uniti tutto l’esecutivo è impegnato sul futuro, per evitare gli effetti negativi e amplificare quelli positivi della rivoluzione tecnologica».

C’è un grande dibattito sui rischi della rivoluzione tecnologica: la perdita del lavoro, i pericoli per la democrazia legati al controllo dei dati. Lei sarà un ottimista.
«Sono un realista. Non c’è un’altra opzione. La tecnologia è uno strumento, non c’è un risultato garantito. Per questo è cruciale che il settore pubblico giochi un ruolo molto attivo. Uno studio del Mit ha dimostrato che tra il 2000 e 2017 ogni robot in Usa ha fatto perdere il lavoro a 6 persone. Il punto di vista di un’azienda è ridurre costi e staff, un governo deve avere un ruolo guida per assicurare che i benefici della tecnologia siano distribuiti tra il maggior numero di persone».

Bentivogli: «Formazione continua per l'operaio 4.0»




Con l’auto che si guida da sola sparirà il tassista, con i droni i fattorini, ma nasceranno gli Ai trainer, i coach di chatbot e assistenti virtuali. E il metalmeccanico diventerà una figura smart e ipercompetente. Ma le parole magiche perchè la rivoluzione del lavoro 4.0 vada a buon fine sono formazione continua e riqualificazione


Marco Bentivogli, segretario della Fim Cisl, nel sindacato è uno dei pochi che sembrano non temere gli effetti collaterali in termini di perdita di posti di lavoro della rivoluzione in corso, ci spiega perché?
«Perché in Italia è l’assenza di investimenti in tecnologia che ha creato disoccupazione. L’esatto opposto della vulgata dei pubblicisti tecnofobi che usano i numeri di Mc Kinsey basati su stime e ipotesi che si rifanno ai parametri degli anni ‘70. Tutti gli accordi sindacali che abbiamo fatto per riportare lavoro in Italia si sono basati su 3 ingredienti: tecnologie abilitanti, investimenti in competenze e nuova organizzazione del lavoro. Quando una nuova tecnologia arriva, cancella alcune mansioni, l’intervallo di rigenerazione di quelle nuove è tanto più breve quanto si più si agisce d’anticipo. Certo, la partita è aperta ma il lavoro non finirà, cambierà: ancora non sappiamo il nome del 65% dei lavori che faranno i bambini che oggi sono alle elementari».