mercoledì 1 gennaio 2020

Nell'era dei Big Data abbiamo perso la faccia




Il futuro è già qui e non è una buona notizia. Perché ci coglie di sorpresa, come spesso accade, e poco attrezzati a fronteggiare le insidie che la nuova società degli algoritmi ci sta apparecchiando, rubandoci bit dopo bit le nostre identità sociali, economiche, persino fisiche ed emozionali. Non si parla d’altro, tra narrazione e contronarrazione, tra apocalittici visionari e ottimisti pragmatici dell’intelligenza artificiale, ma la realtà corre più veloce della nostra presa di coscienza. Salvo rari squarci. Qualche settimana fa i giovani ribelli di Hong Kong nella loro  furia iconoclasta, ma anche per un sano istinto di sopravvivenza, hanno abbattuto le torri-totem dei dispositivi di riconoscimento facciale, che in Cina colonizzano ogni ambito della vita sociale, dalla sicurezza ai consumi. Perché lì ormai la carta di credito è vintage e si paga con la scannerizzazione dei dati biometrici. E se non sei un buon pagatore te lo si legge letteralmente in faccia.

 Una bella scossa alla nostra consapevolezza, plasticamente dispiegata nello spazio dell’Osservatorio della Fondazione Prada in Galleria Vittoria Emanuele a Milano,  la dà la mostra “Training Humans” curata da una coppia di artisti-ricercatori: Kate Crawford, australiana, musicista, docente e studiosa delle implicazioni etiche dell’Ai in diverse università del mondo, e Trevor Paglen, artista americano da anni impregnato in un progetto sulla società della sorveglianza di massa. Più che una mostra è un catalogo di tutto ciò che è stato fatto negli ultimi sessant’anni nel campo del riconoscimento facciale e del machine learning, l’addestramento dell’intelligenza artificiale a classificare e riconoscere le persone. Il lavoro dei due artisti è stato innanzitutto quello di raccogliere migliaia di immagini, la maggior parte delle quali archiviate in database non destinati alla pubblicazione  e finalizzate a elaborare sistemi di riconoscimento biometrico. A partire dal Facial Recognition Project Report, realizzato dalla Cia nel 1963, che classifica migliaia di foto di volti per estrapolare pattern, a cui seguono video di  crudelissimi esperimenti su gattini condotti nel 1973 per progettare la computer vision. Video e fotografie esposti mostrano l’acquisizione di scansioni di volti, impronte digitali, stili di camminata, impronte vocali. Su una parete sono appese le sequenze di foto segnaletiche di criminali più volte arrestati nel corso della loro vita, elaborate per istruire un sistema di riconoscimento facciale che calcoli l’invecchiamento e  conservate nel National Institute of Standard americano, quello che appunto certifica gli standard e le unità di misura.