martedì 21 giugno 2016

Il coraggio di Nadia, sfuggita ai carnefici dell'Isis


Nadia Murad è una ragazza esile, sembra più giovane dei suoi 21 anni e viene spontaneo chiederle come immagina il suo futuro: «Una volta avevo un futuro, studiavo, volevo fare l’insegnante di geografia e aprire un salone di bellezza, ma adesso  per me e la mia famiglia non c’è più un futuro». Nello sguardo sfinito porta il peso di tutto l’orrore che ha visto e subito e che instancabilmente va in giro a raccontare per il mondo, in ogni dettaglio - ieri anche al Festival dei diritti in corso a Milano - sperando che la comunità internazionale reagisca e metta fine alla strage del popolo yazida,  minoranza religiosa irachena, su cui i carnefici dell’Isis si sono accaniti perchè “infedeli”.  Come Nadia ha denunciato all’Onu: «Lo Stato islamico ha trasformato le donne yazide in carne da trafficare e lo stupro è stato usato per distruggerci». Quando nel 2014 le truppe del Califfato sono arrivate nel suo villaggio  sei dei suoi fratelli e sua madre sono stati uccisi mentre lei insieme ad altre migliaia di donne e bambine è stata deportata come schiava sessuale a Mosul. Indicibili le sofferenze che ha subito, venduta a diversi miliziani, vittima di stupri di gruppo, picchiata, torturata. Dopo tre mesi è riuscita a fuggire, prima in un campo profughi in Kurdistan, poi in Germania, dove vive. Altre non ce l’hanno fatta, molte si sono uccise. «Seimila donne e bambini yazidi sono stati rapiti, ne restano ancora 3500 schiavi. Ma nessuno fa niente per la loro libertà». 
     
A dicembre ha raccontato la sua terribile vicenda davanti al consiglio di sicurezza dell’Onu. È servito a qualcosa?
No, tutti fanno promesse, ma nessuno si impegna davvero per sconfiggere l’Isis e interrompere il genocidio del mio popolo.

È andata anche in Egitto e in altri paesi musulmani per cercare l’appoggio del mondo islamico contro la visione distorta dell’Islam sunnita del Califfatto. Ha trovato supporto?
Sono andata in Egitto e in Kuwait, ho chiesto tre volte di andare in Arabia Saudita (sunnita ndr) ma mi hanno rifiutata.  L’unico che si è impegnato e mi dà un po’ di speranza è Al Sisi, il presidente dell’Egitto, che mi ha detto  che il suo primo obiettivo è sconfiggere lo stato islamico.

Il governo iracheno l’ha candidata al premio Nobel.
Non mi interessano i premi, servono atti concreti per sconfiggere i criminali dell’Isis.

Lei ha portato la sua testimonianza in 15 paesi, ricevuta da capi di stato e nei campi profughi. Dove trova la forza?
È molto dura per me ma la forza la trovo perchè continuo a vedere molta ingiustizia. Due settimane fa sono tornata nel campo profughi dove anch’io ero fuggita e ho visto dolore e  sofferenza, molte donne in lutto: ogni giorno muoiono bambini, ogni giorno donne vengono stuprate. La trovo lì la forza per testimoniare questa ingiustizia che non finisce. Perchè so che la giustizia è della mia parte.

Come giudica i suoi aguzzini?
Io non li giudico, io racconto i fatti, magari li odio, ma deve essere il mondo a giudicarli.


IL MARTIRIO DEGLI YAZIDI
Gli Yazidi sono una comunità religiosa antichissima che tra le altre cose adora l’angelo Pavone. Di etnia curda, sono stati spesso perseguitati.
Dal 2014 lo Stato Islamico è avanzato nella regione irachena occupata dagli yazidi, perpetrando massacri (si parla anche di 500 yazidi seppelliti vivi) e riducendo in schiavitù donne e bambine. Migliaia i profughi scampati nei campi del Kurdistan.


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Pubblicato su Metro  il 3 maggio 2016