sabato 5 marzo 2016

La sfida ambientale nella nuova frontiera del Far South antartico

Ghiacciaio lungo il canale di Beagle. Foto di Paola Rizzi


PUERTO WILLIAMS Navigando a sud dello stretto di Magellano a bordo del Beagle, nel dicembre del 1832, Charles Darwin alla vista di un gruppo di indios nudi in una canoa, si lasciò andare a giudizi brutali: «Guardando uomini siffatti si stentava a credere che fossero nostri simili e abitanti dello stesso nostro mondo». Darwin era impressionato dalle loro condizioni “miserabili”. E questo nonostante con lui sul Beagle ci fosse Jemmy Button, un indio di quella stessa tribù, gli yagan, che il capitano Fitzroy  in un precedente viaggio pare avesse acquistato per un bottone (Button) e portato a Londra con altri nativi per insegnar loro il vangelo e l’inglese e riportarli indietro a civilizzare i “selvaggi”. Obiettivo fallito perché presto tornarono alle loro antiche abitudini.
184 anni dopo gli yagan, che per settemila anni erano sopravvissuti alle durissime condizioni antartiche a bordo di canoe di corteccia nell’arcipelago australe, sono quasi  estinti, schiantati dall’impatto con la colonizzazione. Ne sopravvivono una cinquantina a Villa Ukika, pugno di case alla periferia di Puerto Williams, 2500 abitanti, la città più a sud del mondo, sull’isola Navarino, in Cile. Una lingua di terra tra la Terra del fuoco e Capo Horn tra fiordi e montagne innevate battute dal vento. Delle loro tradizioni gli yagan hanno perso quasi tutto, compresa la lingua, ormai parlata solo da un’anziana, Cristina Calderon.
 Eppure proprio dall’incontro di Cristina, e prima che morisse, della sorella maggiore Ursula, con un filosofo e biologo di Santiago del Cile, Ricardo Rozzi, è nato un progetto visionario che tenta di unire la salvaguardia ambientale a quella etnica e culturale. Uno dei prodotti di questo incontro è la guida multietnica degli uccelli delle foreste subantartiche, dove il picchio gigante e l’oca di Magellano sono descritti  con criteri scientifici, culturali e artistici e con i nomi e le leggende yagan raccontate da Cristina e Ursula. «L’idea è che non c’è un solo tipo di conoscenza, quella scientifica, ma che anche i miti ancestrali e la visione artistica contribuiscono ad una relazione più approfondita con l’ambiente». Il concetto di salvaguardia ambientale secondo Rozzi va ampliato rispetto ai sentieri stretti ecologici ed economici e lo sta sperimentando concretamente insieme ad un team internazionale di biologi, ornitologi, filosofi  e artisti, proprio a Navarino, nel parco etnobotanico Omora, area protetta più australe del pianeta. Rozzi usa un’immagine efficace: «Siamo la nuova frontiera, il Far South della sfida più grande che ci attende, quella contro il cambiamento climatico. Un laboratorio naturale unico al mondo ancora relativamente incontaminato, da preservare». Nel  suo progetto conservazione, ricerca scientifica ed etica vanno insieme. «Siamo abituati a pensare che l’etica riguardi solo le relazioni tra esseri umani, invece proprio le culture ancestrali ci insegnano a concepire l’ambiente come una relazione tra esseri viventi, umani e non umani». Nella cultura yagan  del resto gli uomini sono parenti stretti degli uccelli.  
Rozzi a destra nel parco Omora. Archivio parco Omora.

Nasce così l’idea di praticare nelle foreste di Omora, la “filosofia ambientale sul campo”, addestrando sia giovani scienziati che i turisti ad un contatto con la natura multidisciplinare attraverso visite “eticamente guidate”. Con il contatto fisico con gli uccelli, catturati per studiarne le rotte migratorie, e le visite guidate nei boschi anche con la lente di ingrandimento per scoprire “le foreste in miniatura” di muschi e licheni endemici della regione subartantica, svelati anche nella loro bellezza - alle visite di uniscono artisti - Rozzi vuole formare cittadini e scienziati eticamente consapevoli nel loro rapporto con la natura.
La deforestazione provocata dai castori a Navarino. Foto di Paola Rizzi
L’impatto della globalizzazione sull’isola di Navarino si è comunque già fatto sentire: negli anni Cinquanta in Argentina vennero impiantati allevamenti di castori e visoni canadesi da pelliccia. Il business andò male e gli animali vennero liberati. Il risultato fu una diffusione esponenziale delle due specie dalla Terra del fuoco in giù. Orde di castori migranti nell’isola Navarino stanno trasformando il paesaggio con dighe e aree allagate e deforestate. È una gara contro il tempo per evitare che anche questa regione remota venga  aggredita da nuove minacce.

Il villaggio indigeno di Villa Ukika, Foto di Paola Rizzi

Cristina, l'ultima india a parlare la lingua del popolo Yagan 

 VILLA UKIKA Cristina Calderon, l’abuela (nonna) Cristina come la chiamano tutti, 88 anni, ci
Cristina Calderon, foto di Paola Rizzi
accoglie nella sua casetta a villa Ukika. Accanto alla poltrona la lana da filare e gli oggetti artigianali che produce per i turisti, una delle attività principali della piccola comunità yagan: cestini di giunco, berretti, calze e sciarpe di lana. Alle pareti le foto dei parenti, anche la sorella maggiore Ursula, una delle maggiori depositarie della cultura yagan, morta nel 2006.
 Cristina ha un primato, è l’ultima a parlare la lingua della sua gente, 70 persone in tutto. Ma è sempre più difficile: «Finché era viva mia sorella parlavo con lei. Ora da sola, è più difficile ricordare». E i figli e i nipoti non l’aiutano: «Nessuno parla più lo yagan. Abbiamo organizzato una scuola per un po’ di tempo. Ma la verità è che i giovani non sono interessati. Non imparano, solo qualche parola. La mia nipotina per esempio qualcosa sa». Entra una ragazzina sui dieci anni e la nonna la interroga: come si dice mamma, come si dice nonna. Esitante la bambina risponde: kuluána, nonna.
Lo yagan ha un suono melodioso, ed è, era, una lingua molto ricca. Un dizionario realizzato alla fine dell’800 da un missionario inglese ha raccolto 30 mila vocaboli che raccontavano ogni sfumatura di una vita estrema in stretta relazione con la natura.
  Dalla memoria collettiva sono spariti anche i canti tradizionali che accompagnavano riti ormai non più praticati. «Mia sorella li conosceva,  li cantavamo insieme, ma ora da sola non ne sono più capace». 


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Pubblicato su Metro il 31 gennaio 2016

Qui la versione in spagnolo uscita sul sito  Al Día, Con España Y Chile Magazine