domenica 24 maggio 2015

Dalla Finlandia alla Lombardia sulle tracce del nonno nazista

Faccio parte del circolo Anpi di Capriate San Gervasio, piccolo paese in provincia di Bergamo, e un giorno di autunno del 2014 sono stata contattata da un giovane studioso che accompagnava una giornalista finlandese e i suoi genitori, in Italia per ricostruire gli ultimi giorni del nonno, ufficiale della Wehrmacht con ogni probabilità morto durante gli scontri tra partigiani e tedeschi in fuga a cavallo del 25 aprile 1945. Volevano sapere qualcosa su quelle battaglie, di cui per la verità conoscevo pochi particolari. Ci siamo incontrati al bar e così ho conosciuto Katarina. Non avevo capito fino in fondo lo scopo della sua ricerca finchè lei stessa non mi ha raccontato come avesse sentito il bisogno di indagare su questo nonno scomodo, nazista per convinzione fino all'ultimo giorno. Siamo rimaste in contatto e ogni tanto mi aggiorna sulla sua ricerca rigorosa e dolorosa  che diventerà presto un libro. Non so se io sono stata di grande aiuto a lei, certo lei lo è stata per me, perchè mi ha regalato una bellissima storia, che ho raccontato su Metro il 23 aprile 2015 


Katarina Baer
Katarina Baer è una giornalista finlandese, lavora in un importante quotidiano di Helsinki, Helsingin Sanomat, ma si è presa un anno sabbatico per una ricerca che presto diventerà un libro e che l'ha portata lungo l'Adda, al confine tra Milano e Bergamo, sulle tracce del nonno, “il mio nonno nazista”, come dice lei stessa, uno degli ultimi tedeschi a morire in Italia nel 1945. Secondo le ricerche di Katarina, Gerhard Eduard Baer potrebbe essere stato ucciso tra il 26 e il 27 aprile 1945 a Capriate san Gervasio, dove  il 28 aprile si svolse la fase conclusiva della cosiddetta battaglia della Cabina, quando i partigiani locali, temendo rappresaglie sui civili, inseguirono i tedeschi in ritirata che si erano asserragliati nella cabina elettrica appena fuori dal paese.
Il cippo ricorda i nomi dei nove partigiani uccisi tre giorni dopo la fine ufficiale dell'occupazione, ma naturalmente non i nomi dei nemici uccisi. Katarina non ha certezze. Ma l'interrogativo profondo che l’ha mossa non è tanto quello sulle circostanze della morte, ma un altro: «Come è stato possibile che lui e mia nonna, due “brave persone”, due baltico-tedeschi, religiosi, colti e poliglotti,  siano potuti diventare ferventi e incrollabili nazisti? Lui tra i primi a prendere la tessera del partito nel 1932, addirittura animatore di un circolo dedicato alla lettura del Mein Kampf».
In casa Baer il passato di Gerhard non è mai stato un tabù: «Io sono nata in Finlandia, dove mio padre si era trasferito seguendo mia madre, finlandese. Del passato dei miei nonni non si è nascosto nulla ma si è sempre parlato poco - racconta Baer in un bar di Capriate assieme ai suoi genitori - Quando ero corrispondente da Berlino ho sentito la necessità di capire meglio come mio nonno era diventato nazista. Ed è una ricerca che sento urgente adesso, che a 70 anni di distanza l’Europa è attraversata da spinte disgregatrici e rigurgiti antisemiti e razzisti».
 Una ricerca personale dolorosa e per certi versi senza risposte che Katarina ha fatto viaggiando e  consultando archivi e studiosi. Gerhard Baer era ufficiale della Wehrmacht, avrebbe potuto macchiarsi di crimini oppure no. «Essendo ingegnere si è occupato soprattutto di infrastrutture su diversi fronti europei, prima di arrivare in Italia. Improbabile quindi, ma non impossibile un coivolgimento in operazioni sul campo». Un capitolo particolarmente doloroso della ricerca di Katarina, anticipata in un articolo sul suo giornale, riguarda la persecuzione degli ebrei: anche se non ne parla mai esplicitamente nelle sue lettere, non poteva non sapere e fino all'ultimo ha mostrato un'incrollabile fede in Hitler.  
Il nonno Gerhard Eduard stringe in braccio il padre di Katarina Gerhard Alfred


In questo processo di confronto con il passato Katarina ha coinvolto anche il padre Gerhard Alfred, piccolissimo quando il padre morì. «Tra le versioni sulla morte di mio nonno c’è  anche quella di un partigiano che gli avrebbe sparato per vendetta dopo che i suoi soldati avevano mitragliato case e villaggi attorno a Capriate. Nella mia famiglia la possibilità che lui o i suoi uomini potessero aver provocato vittime tra i civili è sempre stato un pensiero doloroso». Un timore infondato: secondo Angelo Bendotti dell'istituto storico della resistenza di Bergamo, almeno in quelle zone e in quei giorni non ci furono vittime civili. «Per noi è un grande sollievo. Mio padre mi disse: quando mi raccontarono delle rappresaglie sui civili, smisi di pensare a mio padre».

Katarina ha due figli, e la più grande, 10 anni, ha studiato a scuola le vicende nel nazismo e dell'olocausto. «Ci hanno sentito parlare in casa del nonno e il più piccolo ha chiesto cos'era un nazista. La più grande gli ha spiegato che era un diavolo, il peggio del peggio. Mi hanno detto: tuo nonno un diavolo? Ho cercato di spiegare che a volte le circostanze rendono le persone cattive e che il nonno era un pesce piccolo. Comunque non ci devono essere tabù, bisogna conviverci e mi pare che loro ci riescano meglio di me e mio padre».


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