lunedì 30 dicembre 2013

Appunti colombiani


Cellulari

Il capo del villaggio
Foto di Paola Rizzi
Anche in mezzo alla selva amazzonica colombiana c'è campo. Il capo del villaggio di indios Ticuna San Martín, raggiunto dopo una camminata di ore nella selva da Puerto Nariňo, idilliaco avamposto sul rio delle Amazzoni, appena ci siamo presentati fradici e stanchi ci ha chiesto il numero del cellulare e ci ha dato il suo, dopo ci ha rifocillati. Poi ci ha parlato dei problemi di San Martín, poche capanne in una radura in mezzo alla selva, pulitissime e ben tenute: povertà, disinteresse del governo e soprattutto delle agenzie di viaggio che detengono il monopolio dei turisti stranieri e a loro danno le briciole. Vorrebbero gestire direttamente i turisti, per tirare su un po' di soldi. «Una volta i soldi non ci servivano- ci ha detto -ma adesso sì». Il posto è meraviglioso, loro offrono visite guidate nella foresta e alloggio nelle case tradizionali. 


Cellulari e oro

Bambini nel villaggio Tayrona
Foto di Paola Rizzi
Sulla costa caraibica, a Palomino vivono degli indios molto schivi che vanno in giro vestiti di bianco. Sono i Tayrona: ne hanno subite di tutti i colori perché dalle loro parti si supponeva ci fosse l'Eldorado e gli europei quindi hanno setacciato la zona palmo a palmo senza andare troppo per il sottile. In effetti i Tayrona oltre che agricoltori e guerrieri coraggiosi, sono stati artigiani orafi sopraffini. Lo si scopre andando a vedere il Museo dell'Oro di Bogotà che sembrerebbe una pacchianata e invece è un museo meraviglioso che mostra come l'oro nelle culture preispaniche non abbia significato solo ricchezza e avidità, ma moltissime altre cose: bellezza, cultura, spiritualità. Ora i Tayrona vivono nelle riserve, sono poverissimi e molto diffidenti, circondati da una natura selvaggia e lussureggiante. Ogni tanto scendono in paese, tra le altre cose a ricaricare il telefonino. A Palomino mi si è inceppata la macchina fotografica mentre due indios aspettavano che si caricasse il loro cellulare attaccato ad una presa del muro di cinta di una casa disabitata.



Nail art

Non sapevo davvero cosa fosse la nail art fino a quando non sono venuta in Sudamerica. E la Colombia è decisamente al top. Ho visto cose... Il must sono unghie dipinte una diversa dall'altra, poi unghie arabescate nella lunetta esterna. Le mie preferite quella a pois alternate: un'unghia rossa a pois bianchi alternata ad una bianca a pois rossi. La nail art è il lusso e la stravaganza alla portata di tutti: dal villaggio amazzonico alla baracca nei sobborghi di Cartagena, non c'è colombiana che rinunci alla sua unghia di celebrità.





Ortodonzia

Va molto di moda farsi l'apparecchio ai denti, ma solo se si è adulti: quello grosso ben visibile con i vitoni che sporgono, che secondo il mio dentista da noi non si vede più da 20 anni. L'impressione è che sia in qualche modo un segno di status, esibizione ortodontica e compiaciuta di un certo benessere raggiunto in un paese dove le differenze sociali sono abissali e il sorriso una carta di identità del conto in banca. Al punto che anche in un manifesto ufficiale di promozione turistica lo ostenta la ballerina in costume del Caribe, in primo piano con un sorriso a tutto denti e viti.




Graffiti

Graffito lungo la strada che porta all'aeroporto di Bogotà.
foto di Paola Rizzi
A chi non piacciono i graffiti è sconsigliabile visitare la Colombia, Bogotà in particolare. Ogni muro disponibile è considerato dai writers locali un'occasione da non perdere. Ce ne sono tantissimi e grandissimi, con una percentuale di bellissimi insolitamente alta. A Bogotà i graffitari hanno sostanzialmente mano libera e il risultato è un po' psichedelico e perturbante. Come fa notare uno di loro, si contendono gli spazi con i pubblicitari e i manifesti giganti. Per lo più, quanto a inventiva, qualità della forma e forza del messaggio vincono i writers. 




Narcos 

Muretto fatto con bottiglie riciclate a Puerto Nariňo.
Foto di Paola Rizzi
Per quanto la Colombia si sforzi di dare un'immagine depurata dal passato legato alle gesta dei cartelli della droga, la strada è ancora lunga. A Puerto Nariňo, incantevole oasi ecologica sul rio delle Amazzoni, che si vanta di aver applicato un modello urbano ecosostenibile nel cuore della selva, chiunque ha la sua storia da raccontare dei tempi in cui il villaggio era il crocevia del narcotraffico con Brasile e Perù, il cosiddetto Trapezio amazzonico. Un via vai ad alto tasso di violenza che negli anni Ottanta e Novanta trasformarono la comunità, 6000 abitanti in prevalenza indios Ticuna, in un'enclave di fuori legge. Andando a spasso con una guida vi indicano le vestigia di un recente passato di crimini e ricchezza facile. Là c'è l'albergo aperto dal figlio di un narcos, ora chiuso e in rovina, dove si facevano le feste e dove passò le sue vacanze anche Pablo Escobar, il narcotrafficante più famoso del mondo. Verso il fiume ci sono le belle ville dei narcos trasformate in appartati resort. Nostalgia per quei bei tempi di vacche grasse? "Giravano molti soldi, ma c'era molta violenza- mi racconta la guida, un indios Ticuna-  un giorno uno era ricco, il giorno dopo non aveva niente. Molti di quelli che si sono arricchiti con il traffico, una volta finita quella epoca, hanno perso tutto". Ma loro, i narcos, dove sono spariti? La fine del cartello di Medellin con la morte di Pablo Escobar e la frammentazione del cartello di Cali ha costretto tutti a moderarsi. In realtà finita la stagione dei grandi monopoli e quella sorta di potere antistato con ambizioni di grandezza sognato da Escobar, è rimasto il “normale" traffico di droga dove ogni gruppo lavora per sè, in modo meno appariscente. "A Puerto Nariňo, i narcos o gli ex narcos vengono adesso solo a passare le vacanze, come normali turisti", dice la guida. Le cronache raccontano un'altra storia. Però hanno dismesso la sfrontatezza e l'arroganza degli anni Novanta e non agiscono più alla luce del sole. Così i turisti possono godersi il panorama.

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domenica 13 ottobre 2013

Bauman: "Siamo sempre più connessi e fragili"



Incontro con Bauman, splendido ottantottenne dalle idee seducenti e dai modi gentili. Istantanea: appena finito l'incontro corre letteralmente giù dalle scale e fugge in strada per accendersi una Marlboro...



«Ogni persona passa 7 ore e mezza al giorno davanti a qualche tipo di schermo, dentro cui si chiude in una vita online più confortevole di quella offline». Il passaggio tra le due modalità è sempre più problematico ed è quello su cui si sofferma il sociologo Zygmunt Bauman, inventore della “modernità liquida”, fortunata metafora della contemporaneità. La tecnologia semplifica ma ci rende fragili e impazienti, incapaci di progettare a lungo termine, di sacrificarci per un obiettivo, dice Bauman, a Milano per un incontro di Meet the media Guru : «Per strada tutti guardano il telefonino, il tempo di attesa è sparito, come la noia».

Questo, insieme alla precarizzazione causata dalla crisi, cambia la nostra percezione del tempo: non esiste più la prospettiva a lungo termine, ma solo l’ora, il presente. «Essere “connessi” 40 anni fa richiedeva una gran fatica  – precisa Bauman -  Io ci ho messo una vita e molto studio a farmi alcune centinaia di relazioni, oggi con Facebook bastano poche ore, ma ci vuole lo stesso tempo per disfarle». L'effetto collaterale è la disconnessione e la fragilità nella vita reale, dove tutto è più arduo. Il rischio più grande poi riguarda i bambini: sempre più affidati a gadget e baby sitter digitali, per loro la distinzione tra  mondo reale e digitale non è più certa. 

Che fare? «L’obiettivo è minimizzare le perdite». Anche se non lo può fare la politica: «La gente ha sempre meno fiducia nei politici, non perché sono corrotti, ma perché non possono mantenere le promesse». Il potere vero, quello finanziario ed economico, è globalizzato, mentre la politica si muove su scala locale. Bauman  si presta a commentare anche l’attualità  della tragedia di Lampedusa: «La modernità ha prodotto persone “ridondanti” rispetto ai cicli produttivi, causando le migrazioni. Fino ad un certo punto ha prevalso l’assimilazione:  trasformare lo straniero, che fa paura, in uno di noi. Oggi non funziona più, le città sono arcipelaghi di diaspore. Le reazioni possono essere due: la mixofobia, la paura del mescolarsi che fa sì che non si permetta alle persone di venire da noi legalmente. La mixofilia invece considera la varietà attraente. La varietà è il naturale habitat della creatività, diceva Lessing. E gli europei non sono forse sempre stati creativi?»

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giovedì 26 settembre 2013

Maschi e femmine alla guerra degli stereotipi

Un fotogramma dello spot della Renaul Clio sanzionato in Gb

La maggior parte delle volte che guardo un telegiornale mi chiedo come sia possibile che non esistano conduttrici non dico brutte, ma normali. Quelle normali magari sono in prima linea negli scenari di guerra, ma in video se sei donna fa premio la bella presenza. Quando leggo riviste femminili piene di articoli sul nuovo ruolo delle donne nella società, mi stupisco poi della convivenza con i servizi di moda e bellezza illustrati da adolescenti infelici e anoressiche e con le pubblicità che mostrano languide modelle di solito, avete notato? con le labbra socchiuse. Nell’immaginario dei fotografi le donne al 99% pensano solo al sesso. Ossia sono la proiezione dello sguardo maschile sulle donne. Anche sulle riviste femminili? Adesso qualcuno comincerà a sbuffare pensando alla solita femminista bigotta e rompipalle.

Ok, il tema della lotta agli stereotipi sessisti nella pubblicità e nei media, sollevato da Laura Boldrini  e Pietro Grasso è  cruciale, ma sdrucciolevole e ci può far scivolare come niente nel bigottismo e nella censura.  O può portarci a combattere gli stereotipi a colpi di altri stereotipi: rischio insito nell’uso e nell’abuso del fortunato neologismo femminicidio, dentro cui ormai si butta tutto quello che più o meno riguarda l’uccisione di una donna da parte di un uomo con cui abbia intrattenuto una relazione. In questo caso lo stereotipo funge da utile idiota: una categorizzazione rozza è servita a far riconoscere la violenza di genere. Però non deve portarci ad altre banalizzazioni, come vittimizzare le donne e pensare al maschio carnefice in quanto maschio. Insomma ci si muove su un tracciato sottile ma necessario. Mi manca un po’ l’altra faccia della discussione: i cliché sui maschi. Gli uomini della realtà non sono e non vogliono essere tutti machos, predatori, che non chiedono mai, o grigi chairmen in grisaglia, come ha notato con tristezza la ministra dell’università Carrozza a Cernobbio. Anche lì c’è molto lavoro da fare.
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Pubblicato su Metro il 26 settembre 2013

mercoledì 11 settembre 2013

La memoria divisa a 40 anni dal golpe in Cile

Il Museo della memoria e dei diritti umani di Santiago del Cile

Appartengo a quella generazione che si è formata negli anni Settanta marciando contro il golpe di Pinochet e nel mito dell’utopia socialista di Salvador Allende stroncata dai Chicago boys e dal cinismo di Kissinger. Uno scenario apparentemente semplice, dove è chiaro chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Ma per i cileni non è così: l’anniversario di oggi che ricorda i 40 anni dal golpe non ha lo stesso significato per tutti. È difficile costruire una memoria condivisa, con tutte le irrisolte contraddizioni del caso. A Santiago esiste il più grande museo del mondo dedicato alla memoria e ai diritti umani, bellissimo, che racconta le violazioni compiute a partire dal golpe del ’73 e scandaglia  gli orrori di tutte le dittature, e  contemporaneamente la Fondazione Pinochet, che tramanda le gesta del Generale, dipinto come artefice della modernizzazione del paese, che avrebbe  garantito al Cile, seppure al prezzo di qualche imbarazzante atrocità, il più alto livello di benessere tra i paesi del Sudamerica.
Nella campagna elettorale per la presidenza che vede contrapposte due donne, Michelle Bachelet per la sinistra e Evelyn Mathei per la destra, figlie di due generali dell’aeronautica, ritornano i fantasmi del passato in modo addirittura grottesco: per alcuni il padre di Mathei, membro della Giunta militare, sarebbe responsabile della morte del padre di Bachelet, ucciso sotto tortura. L’uso e l'abuso del passato, quando è ancora prossimo, è qualcosa che noi italiani conosciamo bene, così come la difficoltà a riconoscersi in una memoria condivisa non solo sulla Carta, quella costituzionale. Però quel gigantesco e avveniristico museo contro tutte le dittature sarebbe stato bene anche a Roma: chapeau ai cileni.
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giovedì 25 luglio 2013

L'Expo nell'Impero di Cacania, Italia


L’enfasi che circonda  l’Expo 2015 sembra sempre più sospetta. Nel giro di dieci giorni abbiamo assistito ad un simposio solenne a Monza nel quale non è successo nulla di nuovo ma tutti, da Napolitano, a Letta, a vari ministri e governatori si sono alternati per comunicare il Grande Messaggio:  che puntano tutto sull’evento del 2015, da cui in definitiva sembra dipendere la nostra stessa idea di futuro e di ripresa. Martedì un accordo tra le parti sociali relativo a 800 (800?) lavoratori per i sei mesi dell’esposizione è stato salutato come il nuovo paradigma che aprirà la strada ad un futuro radioso e produttivo  grazie allo smantellamento –in deroga , per ora -  dei pochi paletti contenuti nella riforma Fornero, che ormai tutti gli studi esistenti mostrano non avere aumentato né la produttività, né in modo utile la flessibilità.

La buona notizia sarebbero i contratti light da applicare ad un evento a tempo determinatissimo, che però in teoria dovrebbe essere la pila rigeneratrice del Sistema-Paese. Non c’è una contraddizione? E non è un po’ poco? Non ci consegna, nella migliore delle ipotesi, ad un futuro a tempo determinato? Dall’osservatorio privilegiato sul territorio, cioè da Milano, Expo 2015 a  22 mesi dall’inizio ha contorni ancora molti sfumati. Troppo. Finora abbiamo visto molta politica mediocre e moltissimo marketing.  Qualcosa che evoca sinistramente  l’Azione Parallela nell'impero di Cacania raccontata da Musil ne “L’uomo senza qualità”:  il Grande Evento catartico di un mondo al tramonto destinato a non realizzarsi mai. Ma quella è  letteratura.
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giovedì 11 luglio 2013

In memoria di Rosy, vittima numero 65



Rosy Bonanno, 26 anni è stata massacrata dal suo ex convivente davanti al loro bambino dopo una persecuzione durata anni. Secondo la madre aveva denunciato l'uomo sei volte: “Tutti sapevano, è stata una morte annunciata". Il procuratore di Palermo Maurizio Scalia ci ha tenuto a far sapere che risultavano solo due denunce per maltrattamenti in famiglia, “non per stalking”, archiviate “perché la signora aveva detto di essersi riconciliata" con l'uomo.  Qualcosa evidentemente non funziona. Perché quella di Rosy è una storia raccontata molte volte, di violenze e soprusi minimizzati, di appelli non raccolti. Sotto sotto nelle parole del magistrato si può leggere che anche lei dopo tutto è stata vittima di sé stessa, ritirando quelle denunce e riappacificandosi con il bruto. I servizi sociali stavano intervenendo, ma con i tempi lenti della burocrazia. L'amore è una cosa complicata, a volte sbagliata. Ma qui il discorso è un altro e riguarda istituzioni e agenzie sociali. Chi deve garantire tutele e sicurezza non è preparato. Non c'è coordinamento. Ancora la cultura prevalente in molti commissariati è quella di invitare i coniugi a “fare pace". Per questo hanno molto senso iniziative come quelle della Bicocca per introdurre il cosiddetto metodo Scotland applicato in Gran Bretagna anche da noi: un sistema che istituisce task force coordinate che entrano in azione non appena arrivi una segnalazione di abuso da qualunque fonte, commissariati, ospedali, servizi sociali. Persino i taxi, nel caso trasportino una donna con segni di violenza. La task force affianca la donna a prescindere dall'iter giudiziario, fino a soluzione del problema. Cosa aspettiamo? Si dice che molto dipende da un cambiamento culturale. Vero: bisogna partire dall'asilo per creare maschi e femmine che si guardino reciprocamente con rispetto. Ma nel frattempo fermiamo la strage con tutti i mezzi possibili e soprattutto con mezzi adeguati.
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lunedì 8 luglio 2013

Una nuotata nella libertà

Dal mondo islamico arrivano sempre più spesso storie di donne che non hanno paura di niente e con la loro ostinata voglia di libertà mettono in ridicolo chi cerca di opprimerle. Dopo la battaglia delle saudite per poter guidare l'automobile, ora l'iraniana Elham Asghari per aggirare il divieto di gareggiare come nuotatrice, per via dell'abbigliamento indecoroso, prende alla lettera i dettami degli ayatollah in fatto di abbigliamento e nuota bardata di tutto punto, palandrana e hijab compreso. Lo ha fatto per 18 chilometri nel Mar Caspio, con addosso un peso di sei chili in vestiti bagnati, battendo credo ogni record. Soprattutto quello della caparbietà. Non ha sconfitto la stupidità del potere che non ha voluto riconoscere il suo primato, per manifesta indecenza. Ma noi sappiamo che comunque ha vinto lei.
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martedì 2 luglio 2013

L'ideologia della flessibilità


Mi ha molto colpito la scarsa risonanza di un interessante articolo scritto da  Elsa Fornero il 5 giugno  sul Wall Street Journal, all'indomani dell'uscita dell'Italia dalla procedura Ue di infrazione. Un articolo che voleva sancire l'efficacia delle riforme  che portano il nome dell'ex ministro, ma che sorprendentemente diceva anche il contrario. Illuminante questo passaggio: “The  subsequent labor-market reform was structural in nature e was introduced at the stringent request of the Eu, international insitutions and of financial markets. Ideally it would have been schedued during times of economic expansion rather recession ”.  In pratica non sta accadendo nulla che non fosse ampiamente prevedibile.  Molti economisti ormai smontano il perverso legame tra ideologia della flessibilità e mercato del lavoro.  A contestare l'idea che i nostri problemi nascano da un'eccessiva rigidità del mercato del lavoro anche il docente della Bocconi Carlo Devillanova, che ho intervistato su Metro, nella quale lancia anche un allarme sui rischi etici e geopolitici di un'economia  come la nostra che si avvia ad essere basata sui bassi salari e sull'export. 

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lunedì 1 luglio 2013

Crisi dell'euro: letteratura batte economia

Che cosa ne sarà dell'euro? Ma soprattutto cosa ne sarà dell'Europa? A queste domande non riescono a dare una risposta nè gli economisti, nè tanto meno i politici. I primi sono alle prese con i conti che non tornano e gli altri non sanno come uscire dalla grande narrazione dell'austerity che avrebbe risolto i nostri problemi e invece li ha solo peggiorati. Petros Markaris, intellettuale e scrittore greco, collaboratore di Anghelopulos, da tempo nella sua serie di polizieschi racconta l'attualità della Grecia sfiancata dalla crisi e nell'ultima si immagina ciò che economisti e governi non vogliono nemmeno sentir nominare, ma di cui tutti i cittadini parlano: l'uscita dall'euro. L'ho intervistato su  Metro

martedì 25 giugno 2013

Quel pasticciaccio di Josefa Idem


Lo stupefacente candore con cui la tedesca Josefa Idem giustifica il pasticciaccio dell'Imu ha un tocco tipicamente italico. Dire che lei è onesta, ma non infallibile, dovrebbe suscitare tenerezza e complicità da parte di tutti noi vessati dal fisco bizantino che dissemina trappole sul cammino del contribuente. Se però un errore materiale lo si commette con complicati magheggi trasformando una palestra in una casa e via discorrendo, allora è difficile passare per sprovveduti, cosa che comunque nemmeno per un ministro dello sport sarebbe una medaglia. Si finisce nella categoria dei furbetti, quelli di piccolo cabotaggio, convinti di esser nel giusto a tentarle tutte pur di sfuggire al fisco rapace: una prestazione in nero, un' Imu taroccata,  trucchetti quasi innocui. Quasi però. E obbligare il premier a mandarla a casa lui, senza aver presentato a priori le proprie dimissioni pur nell'eventuale convinzione di essere nel giusto, tirando in ballo la solita macchina del fango è stato un altro errore madornale.
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pubblicato su Metro

lunedì 24 giugno 2013

Quella sedia vuota di Papa Francesco davanti alla musica

Gentilezza. È stata una delle prime parole pronunciate da Bergoglio, una chiave potente per spalancare cuori, credenti o meno. Ma non è stato poco gentile il forfait riservato all'orchestra Rai e alla Nona di Beethoven in Vaticano? Non possiamo nè vogliamo sindacare gli impegni del Papa, ma l’interpretazione che si è data di quella sedia vuota, come gesto di rifiuto della mondanità, come se la musica fosse tour court un diversivo, una lambada e non, in particolare la Nona, qualcosa che appartiene all’espressione più preziosa - divina?  - , dell’essere umano. Insomma quella sedia vuota davanti ad un’orchestra, in un momento in cui nel mondo le orchestre chiudono, vedi la Grecia e da noi il Maggio fiorentino, schiacciate dal peso di egoismi economici e di una crisi malgestita, contro cui lo stesso Papa ha spesso inveito, non è stato un bel segnale. Ma ci sforzeremo di capire il sottile messaggio che lega la benedizione delle Harley Davidson e il bidone riservato a Beethoven.

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pubblicato su Metro 

lunedì 10 giugno 2013

LA MUCCA ERCOLINA E' FUGGITA


Giancarlo Gentilini l’ho conosciuto nel 2000, circa a metà della sua lunga stagione da sindaco - proseguita poi sotto le spoglie di vicesindaco di un sindaco fantoccio - nel suo ufficio al Comune di Treviso, dominato da una collezione di cappelli da alpino di tutti i materiali e dalla fascia della Mucca Ercolina, simbolo della battaglia delle quote latte. So che se lui, highlander vero, ora dice che la stagione della Lega è finita, c’è assolutamente da credergli. 

mercoledì 5 giugno 2013

TOGLIERE LA CHIAVE ALLA FERRARI DI GRILLO


Breve premessa. Il mio giornale non percepisce finanziamenti pubblici. Vive di sola pubblicità e quindi, agli occhi dei puri, al soldo dei padroni. Difficile dire quali: gli inserzionisti sono tali e tanti che il possibile conflitto di interesse è a somma zero e accontentarli tutti onestamente impossibile. In effetti vorrei guadagnare di più, ma non mi definirei una poveraccia pagata pochi spiccioli e quindi ricattabile.
 Ecco, ora vorrei esprimere un’opinione mia e soltanto mia sul Grillo degli ultimi giorni. A me ricorda uno che si sia trovato al volante di una Ferrari avendo  guidato prima solo 500 e abbia deciso di fermarla andando a sbattere contro un muro. Il Grillo sempre più irascibile e sulfureo, quasi sofferente, sembra voler mascherare la fatica di gestire il formidabile successo elettorale, forse sottovalutato in tutto il suo carico di responsabilità. Delegare in questi casi aiuta, ma il comico non si fida dei suoi inesperti e volenterosi cittadini. E forse non si fida nemmeno di sé stesso, perché tra l’improvvisare comizi e destreggiarsi nelle istituzioni c’è ancora qualche differenza. Allora meglio mandare all’aria tutto, mantenendo intatta l’illibatezza. E il marchio. Ma avvelenando i pozzi prima. Così ogni giorno viene prospettato il nostro lugubre futuro: se il M5S prenderà tutto forse ci salveremo, altrimenti scoppierà la rivolta di piazza, arriveranno i forconi, la primavera araba, evocata dal comico anche in un’intervista su questo giornale. E a qualche sprovveduto o disperato o malintenzionato potrebbe  persino sembrare una forma di legittimazione. Cambia poco se qualche grillino ora va in tivù, svolta resa necessaria per temporeggiare sul malcontento interno, ma senza avere nulla di nuovo da dire.
Peccato. In ogni caso per fermare la Ferrari in corsa suggerisco un sistema meno cruento: togliere la chiave. E magari darla a qualcun altro.

venerdì 31 maggio 2013

PATRICIA SCOTLAND E LA FORZA DELLE IDEE



Non è poi tanto difficile avere una buona idea, il difficile viene quando bisogna metterla in pratica. Allora lì c'è la differenza tra chi ha la determinazione e l'ispirazione necessarie per farlo e chi no. Certamente Patricia Scotland appartiene alla categoria di persone che la determinazione ce l'hanno: riuscire a far diventare la lotta alla violenza domestica una priorità vera, convincendo governi e istituzioni, enti di tutti i tipi, i datori di lavoro e persino i tassisti a collaborare per sapere riconoscere e soccorrere le donne vittime di abusi, deve essere stata una battaglia dura. Grazie a lei gli omicidi di donne a Londra sono crollati. Senza dimenticare che Scotland è una dei dodici figli di una famiglia afrocaraibica immigrata a Londra, e che è diventata una dei migliori avvocati del Regno, Guardasigilli con i laburisti, baronessa e quindi primo membro nero e donna nella Camera dei lord. Ecco

Del Metodo Scotland me ne sono occupata su Metro 

giovedì 30 maggio 2013

FRANCA RAME





Dalla prima pagina di Metro www.metronews.it
Uno dei cambiamenti di Milano che mi ha intristito di più è stata la trasformazione della palazzina Liberty in uno spazio bello, ma algido e vuoto. Tutto il contrario di quello che era stata per i ragazzi milanesi degli anni Settanta, come me, che in quel luogo un po' fatiscente e confusionario si erano costruiti una coscienza.  Franca Rame e Dario Fo avevano dato vita, con la loro inesauribile passione militante, ad un esperimento unico. Loro erano animatori e maestri ma nello stesso tempo alla palazzina si respirava un'atmosfera anarchica dove tutti si sentivano un po' protagonisti. Molti di noi, dicevo, si sono formati assistendo ai loro spettacoli, alle interminabili discussioni che spesso Franca e Dario ospitavano in quell'antro disordinato. Poi siamo cresciuti, magari le idee sono cambiate, si sono "aggiornate" ma di quello spirito, di quella partecipazione credo abbiamo tutti una grande nostalgia, ben consapevoli di avere avuto il privilegio di esserci. 

martedì 28 maggio 2013

Elezioni, chi vince e chi perde




Senza nessuna ragione apparente in queste elezioni disertate dagli elettori ha primeggiato il centrosinistra. Forse fa pena e induce sentimenti di protezione. Lo tsunami soffre l’onda di risacca, nonostante le cose con le larghe intese vadano di male in peggio e quindi sulla carta tutte a favore dei grillini. Il centrodestra che tiene  in pugno il governo, sul territorio si è un po’ smarrito. La  politica, che inciuci o urli, perde appeal, ma gli elettori italiani sono sempre più  imprevedibili e interessanti.

lunedì 27 maggio 2013

CHIESA, MAFIA, SCOMUNICHE




Il Papa ieri ha intimato ai mafiosi di convertirsi. Appello che riprende quello di Wojtyla nel ‘93. In questi giorni molti religiosi hanno detto dell'incompatibilità tra mafia e religione. Ma la sensazione è che se la condanna del peccato è ferma, con i peccatori ci sia sempre indulgenza. Da laica ignorante di diritto canonico vorrei una Chiesa intransigente con la mafia quanto è capace di esserlo su temi come la procreazione. Una Chiesa che scomunica quei boss, che dell’iconografia cattolica amano circondarsi.

sabato 25 maggio 2013

L'AQUILA, IL TOMBOLO DI ALESSANDRA






Tutte le foto di questo post sono di Paola Rizzi

Alessandra è una maga del tombolo, una passione interrotta alle 3 e 32 del 6 aprile 2009, quando L'Aquila fu squassata dal terremoto. Il tombolo se l'è portato nella sua casetta in una delle new town, ma non ha più la testa per lavorarci. All'Aquila sono andata nell'ottobre 2012, ed era uno spettacolo sconvolgente, come se il tempo si fosse congelato. Non è cambiato molto, anzi nulla, se il sindaco Cialente ha deciso per protesta di non indossare più la fascia tricolore. 

L'Aquila, ghost town
















giovedì 23 maggio 2013

FENOMENO FEMEN





Foto dal gruppo Femen France via Facebook


Ammetto, le Femen, per lo più belle ragazze dal look vistoso, che strepitano a seno nudo, non corrispondono all’idea che ho coltivato nel secolo scorso del femminismo. Però forse sono adeguate al marketing politico del nuovo millennio: rischiano grosso, colpiscono duro, più allo stomaco che alla testa, con incursioni da guerrigliere e  slogan semplici sul corpo, che nel bene e nel male costringono a guardare il problema. Ad Amina e alle altre, chapeau.

mercoledì 22 maggio 2013

AUTODISTRUZIONE

AUTODISTRUZIONE

Prendo da Newsweek questo grafico sconvolgente sui suicidi. Nel 2010 nel mondo sono morte più persone per suicidio che per guerre, malattie, disastri naturali. Un ricercatore ha cercato di trovare il motivo perché un certo numero di persone, sempre crescente, oltre a desiderare di uccidersi, poi lo fa. Una risposta unica non c'è. Ma sicuramente qualcosa nel nostro mondo non funziona. In America ad uccidersi sono soprattutto i babyboomers, colpiti dal ciclone della crisi quando la mezza età fa più male.


martedì 21 maggio 2013

ECONOMIA SCIENZA INESATTA






I miei due nuovi idoli sono Carmen Reinhart Ken Rogoff, lei una bella ed elegante signora di origine cubana, lui un tipo pallido e asciutto, enfant prodige degli scacchi. Tutti e due sono professori di economia ad Harvard e autori di uno studio diventato la bibbia del mondo occidentale. Dopo aver scandagliato il rapporto debito-Pil  di un certo numero di paesi del mondo nell'arco di 200 anni, hanno stabilito che storicamente se il debito pubblico sale sopra il 90% del Pil succede l'Armageddon, ossia la crescita crolla a -0,1 %. Vi ricorda qualcosa? Questo studio è stato pubblicato nel 2010 ed è diventato il diktat delle politiche europee di austerità.  Visto che il risultato è che mezza Europa sta andando a rotoli, a qualcuno è venuto più di un dubbio sull'efficacia della ricetta ed altri ricercatori, tra cui uno studente, si sono messi a rifare i conti. Sorpresa: Reinhart e Rogoff  avrebbero utilizzato una formula di calcolo excel errata: facendo i conti giusti se l'indebitamento pubblico sale sopra il 90% del Pil la crescita rallenta sì, ma passa dal 3 al 2 %. Piuttosto diverso.


I calcoli sbagliati dei teorici del rigore
Ecco. Mentre lo studente Thomas Herndon è diventato l'eroe degli strangolati dall' austerity, i due cervelloni di Harvard si sono difesi dicendo che sì, un errorino c'è stato. Ma hanno tenuto a dire che loro non c'entrano nulla con le politiche di austerity decise dai Governi e strumentalmente giustificate con il loro studio. Chissà perché, noi gente normale che vive accanto a precari, disoccupati ed esodati e soprattutto cittadini terrorizzati, qualche sospetto che l'economia non fosse una scienza esatta già l'avevamo avuto. Se poi una scienza incerta e imprecisa viene  utilizzata come grande narrazione ideologica per sostenere una politica svuotata di idee e coraggio, e forse succube di interessi, stiamo freschi.  Grazie a Carmen e Ken per avercelo fatto capire meglio.

Pubblicato su Metro, riproduzione riservata 

venerdì 17 maggio 2013

Vandana Shiva, un leader

Incontro con Vandana Shiva

Ho incontrato Vandana Shiva per un'intervista. Era accompagnata da suo figlio, un ragazzo normale sempre attaccato al telefono. Anche lei sembrava una normale madre di famiglia. Ma il suo discorso è il discorso di un leader, capace di ispirare milioni di persone.


Qui l'intervista pubblicata su Metro il 17 maggio del 2013

Perchè un blog

Per mettere ordine in un pensiero disordinato




venerdì 22 marzo 2013

Perché salvo i giornalisti

Mi sembra di capire che nel mondo ideale del Grillismo, su Gaia per capirci, nel 2050, i giornalisti “spala-merda”, come li ha definiti il comunicatore Messora in silenzio stampa, non esisteranno più, nel senso letterale che i giornalisti proprio non ci saranno più ma vivremo tutti in un universo orizzontale di informazione, dove tutti saranno blogger, fonti certificate e autorizzate di notizie, abilitati alla censura di quelle “false” grazie ad un meccanismo virtuoso che si autoemenda un po’ come su wikipedia. Peccato che su wikipedia, nonostate i suoi indubbi meriti si trovino un sacco di stronzate. 
La domanda, per chi fa il giornalista, è come se ne esce senza rischiare di passare per quelli che difendono l’ennesima casta, quando si vorrebbe solo difendere una professione piuttosto utile in una democrazia. I grillini hanno ragione nel dire che in giro ci sono un sacco di giornalisti che non fanno bene il loro mestiere, incapaci o asserviti a qualche padrone. Lo diceva anche Berlusconi, parlando di Santoro, ma forse aveva meno ragione. Certamente la categoria dovrebbe prendere più sul serio i codici deontologici e le regole base di una professione terremotata  dallo sviluppo del web e dalla crisi degli editori. Ma questo vuol dire più professione, non meno. Sarebbe come dire che siccome ci sono un sacco di ciarlatani in giro, non si va più dal medico ma ci si affida alle conoscenze condivise dalla rete. Col cavolo. Io continuo a preferire un mondo dove ci sono in giro anche tanti cattivi giornalisti, in mezzo a quelli bravi che frugano negli armadi di vecchi e nuovi potenti, piuttosto che un mondo senza giornalisti
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Pubblicato su Metro il 21 marzo 2013