Non sempre lo Stato italiano ha la
fama di cattivo pagatore. C’è un business emergente, che secondo Europol nel
solo 2015 ha superato i 2 miliardi di dollari e che preferisce
trattare con l’Italia che con altri governi: è quello dei sequestri in aree di
crisi, come Siria, Iraq, ora Libia, che immette fiumi di soldi nelle tasche di
gruppi jihadisti e criminali. Nel caos libico nonostante la guerra civile le
imprese italiane non hanno mai smesso di lavorare, l’Eni continua ad assicurare
l’elettricità a buona parte della Cirenaica, mentre dalle coste partono barconi
zeppi di migranti verso la Sicilia e nel deserto i lavoratori italiani vengono
rapiti, sei tra il 2015 e il 2016. «Non se ne parla, loro smentiscono, ma
l’Italia pur di mantenere i suoi interessi in Libia è disposta a pagare pegno,
con i riscatti». È la tesi, sostenuta da molte testimonianze, dell’economista
Loretta Napoleoni nel suo ultimo libro “Mercanti di uomini” (Rizzoli, p.360,
18,50 euro) che ricostruisce i nuovi canali di finanziamento del terrorismo:
dall’11 settembre in poi i sequestri sono cresciuti esponenzialmente e gli
stessi gruppi trattano anche l’altra merce umana, i migranti.
«La svolta è stata nel 2003 con il
rapimento di 32 europei nel Maghreb -spiega Napoleoni - che ha fruttato 5
milioni e mezzo di euro». Per l’Italia il clou arriva nel 2004 con il
rapimento in Iraq delle due Simone, cooperanti della onlus un Ponte per. E nel
2014 l’Italia avrebbe pagato “una frazione di Pil”, secondo la battuta di
un funzionario, per liberare le due cooperanti Greta e Vanessa rapite in Siria.
In entrambi i casi Napoleoni mette in luce l’incompetenza e l’improvvisazione
con la quale i soggetti si sono mossi in territori pericolosi, dato che
accomuna anche molti dei giornalisti vittime di sequestri, come James Foley poi
decapitato e John Cantlie, utilizzato dall'Isis in video di propaganda.
«La maggior parte erano free lance, velleitari e senza coperture, perché i
giornali non rischiano più mandando i loro inviati».
C’è poi il caso Somalia, stato
fallito dopo il tentativo naufragato di esportarvi la democrazia: «Le
milizie si sono prima finanziate con la pirateria, poi si sono riciclate
nel traffico di migranti, meno redditizio ma meno costoso».
Non mancano i paradossi: partire dal
porto libico di Sirte, quando era controllata dall’Isis, era per i migranti più
caro ma più sicuro, i jihadisti imponevano un tetto di 120 migranti per barca
per massimizzare i profitti. Strazianti le testimonianze raccolte da Napoleoni
delle vittime della tratta, tenute loro stesse in ostaggio dalle bande, le
famiglie costrette a pagare i riscatti, poi vendute più volte prima di poter
salire sui barconi, con una resa per ogni “migrante" di migliaia di
dollari. La differenza con gli ostaggi occidentali è che in questo caso
non entrano gioco i negoziatori, pubblici e privati, una nuova professione in
grande sviluppo.
La via d’uscita? «Smettere di
pagare i riscatti e chiudere le frontiere. Quando Merkel le ha aperte avrebbe
dovuto fare i ponti aerei, così ci hanno guadagnato i trafficanti.
È realismo. L’unica possibilità è che Putin e Trump facciano un accordo
per pacificare il Medio Oriente».
©Riproduzione riservata
Pubblicato su Metro il 23 gennaio 2017