sabato 27 ottobre 2018

Paul Daugherty: l'intelligenza artificiale è una sfida etica


L’intelligenza artificiale si sta impossessando delle nostre vite, e del nostro lavoro. Il grande tema   è quali lavori resteranno agli umani che non possano essere fatti da robot o algoritmi. Prova a tranquillizzarci Paul Daugherty,  chief technology e innovation officer del colosso di consulenza aziendale Accenture, di passaggio a Milano per presentare Human+Machine, Reimagining work in the age of AI, scritto con James Wilson, invitato da Meet the Media Guru. Opera che prova a spiegare come affrontare la sconvolgente trasformazione del mondo del lavoro in corso, ai clienti di Accenture, i manager, che a quanto pare sono anche loro impreparati: «Per i due terzi la propria forza lavoro non è aggiornata per lavorare con l’AI, ma  solo il 3% investe per colmare il gap di competenze» dice Daugherty.


Non dobbiamo avere paura?
«È chiaro che l’Ai eliminerà alcune professioni. È successo per ogni nuova tecnologia. Il punto è che è più facile immaginare quali lavori spariranno e meno quali saranno i nuovi che nasceranno. Ma l’obiettivo di società, manager e governi deve essere riqualificare la forza lavoro per riempire quella zona di mezzo ancora inesplorata, che io chiamo missing middle, l’area di collaborazione tra l’intelligenza artificiale  e gli umani. Un esempio di queste nuove figure è l’allenatore di intelligenze artificiali (Ai trainer) che deve istruire i sistemi intelligenti a interagire in modo empatico con i consumatori. Una figura che richiede un mix di competenze psicologiche, sociologiche, di marketing».  

Cosa suggerisce al governo italiano per affrontare la disoccupazione, da noi molto alta soprattutto tra i giovani?
«Quello che suggerisco a tutta l’Europa: fissare subito un’agenda di investimenti focalizzata su innovazione, ricerca e sviluppo. Poi una strategia sulla forza lavoro nell’Ai, mirata alla riqualificazione di quelli che stanno già lavorando, mentre vanno introdotte stem, coding e machine learning nelle scuole fin dalle elementari».


Lei è ottimista sul futuro?
«Sono un ottimista consapevole. La tecnologia è neutrale, dipende da come si usa. Il cambiamento è molto veloce, ed è per questo che dobbiamo educare in fretta imprenditori e governanti.  Un capitolo cruciale è quello etico: la responsabilità e la trasparenza dei processi, che riguarda tutti, aziende, consumatori, cittadini. Ai è una potente tecnologia e ha a che vedere per esempio con la privacy. Determinanti sono l’onestà e l’imparzialità. Dobbiamo essere certi che gli algoritmi non  prendano decisioni discriminatorie: per questo nell’Intelligenza artificiale non devono lavorare gruppi omogenei. L’inclusione di donne e minoranze e fondamentale».

Se no capita, come è successo, che sistemi di riconoscimento facciale non riconoscono le donne di colore.


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Pubblicato su Metro il 3 luglio 2018

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