mercoledì 11 settembre 2013

La memoria divisa a 40 anni dal golpe in Cile

Il Museo della memoria e dei diritti umani di Santiago del Cile

Appartengo a quella generazione che si è formata negli anni Settanta marciando contro il golpe di Pinochet e nel mito dell’utopia socialista di Salvador Allende stroncata dai Chicago boys e dal cinismo di Kissinger. Uno scenario apparentemente semplice, dove è chiaro chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Ma per i cileni non è così: l’anniversario di oggi che ricorda i 40 anni dal golpe non ha lo stesso significato per tutti. È difficile costruire una memoria condivisa, con tutte le irrisolte contraddizioni del caso. A Santiago esiste il più grande museo del mondo dedicato alla memoria e ai diritti umani, bellissimo, che racconta le violazioni compiute a partire dal golpe del ’73 e scandaglia  gli orrori di tutte le dittature, e  contemporaneamente la Fondazione Pinochet, che tramanda le gesta del Generale, dipinto come artefice della modernizzazione del paese, che avrebbe  garantito al Cile, seppure al prezzo di qualche imbarazzante atrocità, il più alto livello di benessere tra i paesi del Sudamerica.
Nella campagna elettorale per la presidenza che vede contrapposte due donne, Michelle Bachelet per la sinistra e Evelyn Mathei per la destra, figlie di due generali dell’aeronautica, ritornano i fantasmi del passato in modo addirittura grottesco: per alcuni il padre di Mathei, membro della Giunta militare, sarebbe responsabile della morte del padre di Bachelet, ucciso sotto tortura. L’uso e l'abuso del passato, quando è ancora prossimo, è qualcosa che noi italiani conosciamo bene, così come la difficoltà a riconoscersi in una memoria condivisa non solo sulla Carta, quella costituzionale. Però quel gigantesco e avveniristico museo contro tutte le dittature sarebbe stato bene anche a Roma: chapeau ai cileni.
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Pubblicato su Metro