giovedì 2 ottobre 2014

Si crea lavoro investendo in formazione


«In un anno in Germania in media ogni lavoratore fa 24 ore di formazione lavoro, in Italia un'ora e mezzo. Meglio di noi fanno tutti gli altri Paesi europei, salvo il Portogallo. Ecco qual è la vera differenza di sistema. Non l’articolo 18». Detto da Carlo Barberis, organizzatore di ExpoTraining, (www.expotraining.it), la fiera della formazione aziendale e professionale (settore che fattura 3 miliardi) che inizia oggi a Milano, può sembrare scontato e di parte. Ma Barberis assicura che non è così: «Cambiare l’articolo 18 appartiene ad un vecchio modo di pensare, ad un vecchio paradigma».


E quale sarebbe invece il nuovo paradigma da applicare in tema di lavoro? 
Cito l’Ocse che ha introdotto il concetto di capitale umano nel calcolo della ricchezza di un paese. Capitale umano vuol dire conoscenza, competenza, abilità: un anno in più di formazione si traduce in un 5% in più di pil.  

Noi invece siamo indietro.
Indietrissimo. Solo il 18% delle aziende fa formazione ed è un male perchè è dimostrato che quelle che vanno meglio sono proprio le aziende che aumentano le competenze dei loro dipendenti. Tra l'altro per lo più a costo zero: su 3 miliardi 2 e mezzo vengono dal pubblico. Dico di più: dovrebbero pagare di più di Irpef le aziende che non fanno formazione continua perchè creano un danno sociale. 

Quindi c’è un deficit della classe imprenditoriale. 
Assolutamente sì.

E i lavoratori?
Soffro quando i lavoratori cercano di mantenere in piedi aziende bollite. Devono puntare a formarsi nuove competenze. 

 Lei però parla a nome della categoria dei formatori, che non è esente da critiche. Ci sono dei bei carrozzoni.
È vero: siamo noi i primi a chiedere di normare meglio il settore, dare patentini con criteri certi .

Vede nel governo più sensibilità al problema?
A parole sì. La realtà è che ad ora il raccordo tra scuola, lavoro e formazione è inesistente. In Germania con la riforma del 2003 hanno introdotto anche una pianificazione territoriale: è inutile formare odontotecnici se in quella provincia richiedono saldatori. E che le parole non bastino lo si vede da come sta andando Garanzia giovani, che doveva connettere giovani non occupati e lavoro. Siamo alla fine del 2014 ed è tutto fermo, per la farraginosità della burocrazia. Rischiamo che il miliardo e mezzo stanziato per l’operazione torni a Bruxelles.
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pubblicato su Metro il 1 ottobre 2014

mercoledì 1 ottobre 2014

“Cogestire è meglio che licenziare”

Lo stabilimento della Volkswagen di Wolsburg
«Eliminare l'articolo 18 in Italia non porterà un posto di lavoro in più». Ne è sicuro Franco Garippo, da 38 anni nel consiglio di fabbrica della  Volkswagen di Wolfsburg, membro del fortissimo sindacato dei metalmeccanici  IG Metall e paladino di quel “modello tedesco” che tanti da noi  invocano come punto di riferimento di ogni moderna riforma del lavoro. Lo rintracciamo alla fine dell'assemblea generale, una delle 4 annuali, in cui il mondo Volkswagen si ferma, tutti i dipendenti, dai quadri agli operai si riuniscono e invitano il direttore generale a fare il punto sullo stato dell'azienda.

Oggi da Wolfsburg non è uscita nemmeno una Volskwagen.
Nemmeno una. È un appuntamento obbligatorio, che rientra in quel modello di cogestione che esiste in Germania dal 1976 e che in Italia non capite.

Ce lo spieghi lei: per esempio in Germania è più facile o più difficile licenziare?
Esistono tutele specifiche per le aziende con più di 10 dipendenti, ma il punto è un altro: la legge stabilisce che in ogni azienda al di sopra dei 5 dipendenti ci sia un consiglio aziendale eletto dai lavoratori che deve essere consultato per qualsiasi tipo di licenziamento, anche se uno ruba, così come in qualunque altra decisione, dalle assunzioni, ai turni, alla produzione. Se non succede si fa ricorso al giudice. Ma in 38 anni alla Volkswagen non è mai successo. La cogestione è tutto, non a caso qui non c'è stato mai uno sciopero, nemmeno quando abbiamo trattato 30 mila esuberi nel 1993. Poi evitati tagliando orari e stipendi. 

L'idea è che mentre i sindacati italiani difendono sempre il lavoratore a prescindere, voi siete più forti ma più  “cattivi”. Le è mai capitato di avallare un licenziamento? 
È il punto cruciale su cui i sindacati italiani non mi capiscono. Se io come sindacato devo codecidere vuol dire che tutelo il lavoratore ma anche l'azienda. La produttività, l'etica aziendale, è un obiettivo comune. A me interessa che l'azienda vada bene, come si dice qui “non si ammazza la mucca che si vuole mungere”. Quindi devo tutelare Garippo se l'azienda lo vuole licenziare ingiustamente, ma se Garippo è un lavativo no. 

La cogestione nel caso Volkswagen significa anche partecipazione ai consigli di sorveglianza dell'azienda, condivisione degli utili e stipendi di lusso. Ci faccia sognare.
Per un turnista il netto in busta parte da 2600 euro. Poi c'è il bonus. Abbiamo contrattato che il 10% degli utili vada ai dipendenti: l'anno scorso è stato 7500 euro in media a testa, quest'anno un po' meno. Questo deve fare il sindacato: contrattare migliori condizioni di lavoro, non fare politica o altro. 

Tutto rose e fiori quindi?
La Germania non è il paradiso in terra e non tutte le aziende sono esemplari come la Volkswagen. La riforma delle pensioni è stata durissima e infatti ora è stata corretta. Ma vengo in Italia tutti gli anni in vacanza e vedo tante occasioni sprecate, come la formazione professionale. Dalle mie parti, nel salernitano, il 50% dei giovani o è disoccupato o colleziona lauree. E sempre di più passano di qui: 300 nell'ultimo anno. In catena abbiamo anche un architetto con master. Ma le pare?

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Articolo pubblicato su Metro il 25 novembre 2014