venerdì 7 giugno 2019

Il fisico Faggin: «Una fesseria avere paura dell'Intelligenza Artificiale»


C’è un prima e un dopo Federico Faggin.  E il dopo plasma l’ambiente in cui siamo immersi: il mondo digitale accessibile, portatile e flessibile. Scienziato, inventore, imprenditore, visionario, Faggin, vicentino classe 1941, eccellenza trasferitasi nella Silicon Valley  nel lontano 1968, è il padre universalmente riconosciuto del micropocessore,  tassello essenziale nel cammino che ha trasformato tra le altre cose i telefoni in supercomputer portatili. Nel libro Silicio (Mondadori, p.310, 22 euro) racconta la sua straordinaria avventura, che comprende anche l’invenzione del touchscreen e la dura battaglia per  vedersi riconoscere la paternità delle sue invenzioni, culminata nella Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l'Innovazione che gli tributò Obama nel 2010.
Che effetto le fa vedere tutta questa gente che cammina inchiodata allo schermo di un cellulare: si sente un po’  responsabile?
«Assolutamente no. Sono preoccupato per questi ragazzi con la testa nel telefono. Ma se uno crea una cosa che può essere usata bene o male, poi come la si usa non è colpa sua. Avessi creato una bomba, ma ho sviluppato tecnologie che fanno anche un gran bene».
Un esempio di cosa le dà particolari soddisfazione?
«Tutte le applicazioni mediche. In un pacemaker c’è un piccolo microprocessore. Ora ho investito in una ditta che fa elettrocardiogrammi via cellulare e in India, nelle campagne, fa furore».