giovedì 25 gennaio 2018

La missione di Demnig, l'artista delle pietre di inciampo: «Vi obbligo a inchinarvi alle vittime»

L’immagine standard di Gunter Demnig lo vede inginocchiato su un marciapiede, il viso nascosto da un cappellaccio a larghe falde, in mano una cazzuola e un martello, mentre incastra nel selciato un sampietrino con una faccia di ottone. Di fotografie così ce ne saranno decine di migliaia, quante sono le “pietre di inciampo”  che questo burbero settantenne berlinese, professione artista concettuale, da più di 20 anni va incastrando sulle strade di tutta Europa, in quello che è diventato il più grande monumento diffuso mai realizzato.
Ogni pietra ha inciso il nome di un deportato nei lager, data di nascita, data di deportazione, data di morte, e viene collocata davanti al portone dell’ultimo domicilio conosciuto. Alcune sono dedicate ai sopravvissuti. Le pietre sono ormai 65mila e fissano con i nomi e cognomi delle vittime lo sterminio di ebrei, zingari, disabili, oppositori politici, omosessuali, la maggior parte in Germania, poi in Austria, Belgio, Olanda, Ungheria, Italia, Ucraina, Repubblica Ceca,  Spagna, Russia, Francia, Svizzera, Grecia: «Nel 2017 sono stato in giro 270 giorni, un’auto mi dura al massimo tre anni» dice Demnig. Il 30 ottobre 2017 è stata  installata la prima pietra di inciampo  al di fuori dell'Europa, di fronte alla scuola Pestalozzi di Buenos Aires per commemorare i bambini costretti a fuggire dall'Europa tra il 1933 e il 1945. L'idea l’ha avuta un ex studente della scuola, che aveva assistito alla posa di una pietra per i parenti a Costanza.