mercoledì 8 ottobre 2014

L'Opera di Roma nell'era della Grande Rottamazione


Al giorno d’oggi conta il marketing,  se non godi di buona stampa, di una good reputation, sei fregato. E certo su questo piano se la sono proprio giocata male vecchi armamentari anni '70 come gli ipersindacalizzati cori e orchestre dei nostri disastrati enti lirici, facilmente predestinati a cadere sotto la  scure della Grande Rottamazione. Come dimenticare la protervia dell’indennità spadone richiesta dal corista per indossare in scena una spada realisticamente pesante, o l’indennità trasferta da Roma a Caracalla?  E l’indennità lingua per cantare  in russo? La verità è che nella vicenda dell’Opera di Roma, con il quasi licenziamento in tronco delle maestranze artistiche, queste hanno plasticamente fatto la parte del vaso di coccio in un gioco più grande di loro.  Perché è vero che gli enti lirici sono alla canna del gas e l’Opera di Roma di più, ed è vero che da decenni si tenta in modi più o meno occulti e finora inefficienti di privatizzarli, ma l’accelerazione di questi giorni segna un prima e un dopo. Stiamo assistendo ad un cambio di paradigma: ciò che prima era impensabile ora lo è, si può avere un teatro senza coro e orchestra in pianta stabile, si può licenziare in tronco una compagine artistica e nessuno di quelli che una volta avrebbero alzato barricate dice niente, imbambolati come siamo tutti da una crisi infinita e terrorizzante.


Non era un passo obbligato: qualcuno dovrà spiegare perché ha vinto la strada della rottura, allestita dal tempestivo abbandono di Muti, quando solo una minoranza di coristi e professori d’orchestra contestava un accordo possibile. Minoranza che ha fatto il gioco di un progetto più ampio, del resto espresso senza reticenze dal Ministro Franceschini, ossia avere in tutti i teatri maestranze artistiche a contratto. Col doppio vantaggio di diminuire costi e conflittualità, oggi così fuori moda. È un bene, un male? Forse è persino un bene l’obiettivo, prestigiose orchestre a contratto ci sono in tutto il mondo.  Ma certamente un male è la strada per ottenerlo. Come nella estenuata discussione su articolo 18, jobs act e annessi, anche in questa vicenda emerge che il peso e in fondo la “colpa” della grande crisi e delle singole crisi, ricadono sulla funzione lavoro. Nel caso dell’Opera di Roma poi nemmeno su tutta, perché mica si sono licenziati gli amministrativi, i quadri, mica si è chiesto conto a dirigenti e soprintendenti vecchi e nuovi,  probabilmente politicamente meglio introdotti, che certo qualche corresponsabilità nel buco di 30 milioni ce l’hanno. Che il lavoro come lo abbiamo conosciuto finora sia l’anello della catena destinato a saltare per farci stare poi tutti meno tutelati ma più contenti è il grande totem ideologico brandito con formidabile pervicacia dal Renzismo.  Speriamo che sia vero.
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Pubblicato su Metro il 7 ottobre 2014