MILANO Il fratello maggiore è diventato famoso con il soprannome
di “el Che”. Lui, 15 anni di meno, da bambino storpiava il suo nome Juan Martin
in Patatin, e così lo chiamavano in casa, salvo poi, nella vulgata
giornalistica diventare El Tin. Oggi “El Tin“ Juan Martin Guevara è un
pensionato argentino di 74 anni, editore e commerciante di sigari Avana con
l’impresa Puro Tabaco, che dopo un lungo silenzio viaggia per il mondo per
raccontare il Che intimo, nel libro “Mon frère, le Che”, scritto con la
giornalista francese Armelle Vincent non ancora tradotto in italiano. Il 27
sarà ospite di “Al cuore dei
conflitti”, rassegna di Lab 80 film e FIC-Federazione Italiana
Cineforum di Bergamo e proporrà il film “Che, un hombre nuevo” di Tristán
Bauer.
Perché per molti anni non ha parlato di suo fratello?
Non mi rendevo conto di quanto fosse importante per tante persone
nel mondo. Poi non volevo strumentalizzarlo. Non so, dovremmo consultare Freud,
Lacan! Invece a mano a mano che ne parlo ho capito quanto sia utile per
gli altri conoscere la sua famiglia, la sua vita, la sua umanità e il suo
pensiero.
Che significa essere il fratello di un mito?
In realtà sono il fratello di Ernestito, (Ernestino ndr) il mio
fratello grande e il mio compagno di ideali.
Le ha complicato l'esistenza? So che è stato in prigione per 8
anni durante la dittatura argentina.
Non è mai stato un peso. Si è detto che sono cresciuto nella sua
ombra. In realtà sono stato sotto la sua luce. Luce che cerco di
contestualizzare oggi attraverso il suo pensiero. Pochi hanno letto i suoi
scritti, 3.000 pagine. In prigione ci sono stato per la mia militanza
politica socialista. E la violenza e la repressione ha toccato me come tutti
gli altri.
Eravate una famiglia numerosa, cinque fratelli, due genitori un
po’ bohemien, una madre forte con cui lei racconta Ernesto parlava di politica.
Qual è il suo ricordo più importante di Che?
Le discussioni che abbiamo fatto in Uruguay alla Conferenza
dell'Organizzazione degli Stati Americani nel 1961. Ero un ragazzo e per me è
stato fondamentale. Parlavamo del mondo, dell'Argentina, di Cuba, di
socialismo.
Suo fratello ha commesso degli sbagli?
Certo. Era un essere umano. Come ha detto Fidel, il Che
rischiava molto, a volte senza calcolare le conseguenze. D’altra parte
concepiva il suo ruolo di leader in modo tale da mettersi in situazioni
pericolose. Nei suoi scritti analizza degli errori, come nel suo libro sul
Congo. Anche in Bolivia (dove venne ucciso ndr) ci furono errori,
ma tutta la vicenda boliviana è avvolta nel mistero, difficile dire cosa dipese
da errori e cosa dal caso.
Che ne pensa del fatto che il Che sia diventato un fenomeno
commerciale globale? Penso alla pubblicità dei Rolex e alla volgarizzazione
della sua immagine di rivoluzionario seducente.
La volgarizzazione fa sì che il suo pensiero e la sua azione non
siano conosciuti e quindi imitati. “Salvare il mondo mercantilista e
individualista dal pensiero e dagli stimoli contrari” è l’obiettivo di quelle
campagne. Dal momento che non possono sbarazzarsi dell'immaginario sociale
legato alla sua figura la volgarizzano. D'altra parte ogni volta che c’è un
“prodotto” buono, un buon commerciante non se lo fa sfuggire, se serve per
vendere, no?
Suo fratello apprezzerebbe la Cuba di oggi?
Come dico sempre, non posso sapere cosa il Che avrebbe pensato.
Però di sicuro non sarebbe affatto soddisfatto di come va il mondo. Tornerebbe
alla testa delle lotte popolari per il cambiamento. E i giovani lo sanno, per
questo è un mito così potente. Cuba ha fatto la sua rivoluzione, costruito una
società con un certo livello di solidarietà e giustizia, in un mondo ostile.
Dico che più che criticare Cuba, sarebbe meglio fare il possibile per cambiare
il mondo. E oggi in questo mondo globalizzato è più chiaro ancora che negli ‘60
e ‘70: che i popoli facciano quello che devono.
Dopo Obama, Trump è un passo indietro?
Penso che sia venuta alla luce la vera America profonda. Non c’è
un afroamericano, o una donna. Ma un capitalista imperialista. Se sia un passo
indietro, lo decideranno gli americani.
Al Che sarebbe piaciuto Papa Francesco?
Capovolgerei la domanda: che ne pensa il Papa del Che?
©Riproduzione riservata
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Pubblicato su Metro il 26 aprile 2017