mercoledì 14 giugno 2017

Vi racconto mio fratello Che Guevara



MILANO Il fratello maggiore è diventato famoso con il soprannome di “el Che”. Lui, 15 anni di meno, da bambino storpiava il suo nome Juan Martin in Patatin, e così lo chiamavano in casa, salvo poi, nella vulgata giornalistica diventare El Tin. Oggi “El Tin“ Juan Martin Guevara è un pensionato argentino di 74 anni, editore e commerciante di sigari Avana con l’impresa Puro Tabaco, che dopo un lungo silenzio viaggia per il mondo per raccontare il Che intimo, nel libro “Mon frère, le Che”, scritto con la giornalista francese Armelle Vincent non ancora tradotto in italiano. Il 27 sarà ospite di “Al cuore dei conflitti”, rassegna di Lab 80 film e FIC-Federazione Italiana Cineforum di Bergamo e proporrà il film “Che, un hombre nuevo” di Tristán Bauer.

Perché per molti anni non ha parlato di suo fratello?
Non mi rendevo conto di quanto fosse importante per tante persone nel mondo. Poi non volevo strumentalizzarlo. Non so, dovremmo consultare Freud, Lacan! Invece a mano a mano che ne parlo  ho capito quanto sia utile per gli altri conoscere la sua famiglia, la sua vita, la sua umanità e il suo pensiero.




Che significa essere il fratello di un mito?
In realtà sono il fratello di Ernestito, (Ernestino ndr) il mio fratello grande e il mio compagno di ideali.

Le ha complicato l'esistenza? So che è stato in prigione per 8 anni durante la dittatura argentina.
Non è mai stato un peso. Si è detto che sono cresciuto nella sua ombra. In realtà sono stato sotto la sua luce. Luce che cerco di contestualizzare oggi attraverso il suo pensiero. Pochi hanno letto i suoi scritti, 3.000 pagine. In prigione ci sono stato  per la mia militanza politica socialista. E la violenza e la repressione ha toccato me come tutti gli altri.

Eravate una famiglia numerosa, cinque fratelli, due genitori un po’ bohemien, una madre forte con cui lei racconta Ernesto parlava di politica. Qual è il suo ricordo più importante di Che?
Le discussioni che abbiamo fatto in Uruguay alla Conferenza dell'Organizzazione degli Stati Americani nel 1961. Ero un ragazzo e per me è stato fondamentale. Parlavamo del mondo, dell'Argentina, di Cuba, di socialismo.




Suo fratello ha commesso degli sbagli?
Certo. Era un essere umano. Come ha detto Fidel, il Che rischiava molto, a volte senza calcolare le conseguenze. D’altra parte  concepiva il suo ruolo di leader in modo tale da mettersi in situazioni pericolose. Nei suoi scritti analizza degli errori, come nel suo libro sul Congo. Anche  in Bolivia  (dove venne ucciso ndr) ci furono errori, ma tutta la vicenda boliviana è avvolta nel mistero, difficile dire cosa dipese da errori e cosa dal caso.

Che ne pensa del fatto che il Che sia diventato un fenomeno commerciale globale? Penso alla pubblicità dei Rolex e alla volgarizzazione della sua immagine di rivoluzionario seducente.
La volgarizzazione fa sì che il suo pensiero e la sua azione non siano conosciuti e quindi imitati. “Salvare il mondo mercantilista e  individualista dal pensiero e dagli stimoli contrari” è l’obiettivo di quelle campagne. Dal momento che non possono sbarazzarsi dell'immaginario sociale legato alla sua figura la volgarizzano. D'altra parte ogni volta che c’è un “prodotto” buono, un buon commerciante non se lo fa sfuggire, se serve per vendere, no?



Suo fratello apprezzerebbe  la Cuba di oggi?
Come dico sempre, non posso sapere cosa il Che avrebbe pensato. Però di sicuro non sarebbe affatto soddisfatto di come va il mondo. Tornerebbe alla testa delle lotte popolari per il cambiamento. E i giovani lo sanno, per questo è un mito così potente. Cuba ha fatto la sua rivoluzione, costruito una società con un certo livello di solidarietà e giustizia,  in un mondo ostile. Dico che più che criticare Cuba, sarebbe meglio fare il possibile per cambiare il mondo. E oggi in questo mondo globalizzato è più chiaro ancora che negli ‘60 e ‘70:  che i popoli facciano quello che devono.

Dopo Obama, Trump è  un passo indietro?
Penso che sia venuta alla luce la vera America profonda. Non c’è un afroamericano, o una donna. Ma un capitalista imperialista. Se sia un passo indietro, lo decideranno gli americani.

Al Che sarebbe piaciuto Papa Francesco?

Capovolgerei la domanda: che ne pensa il Papa del Che?

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Pubblicato su Metro il 26 aprile 2017