venerdì 8 marzo 2019

Fake chinese girl: la scienziata da record che vuole essere italiana

Riuyao Marika Cai.

É già finita due volte sulla copertina Nature, la prestigiosa rivista scientifica, con i suoi studi sui metodi per rendere trasparenti gli organismi, condotti come neuroscienziata alla Ludwig Maximilian University di Monaco di Baviera, una delle più importanti del mondo per quanto riguarda le malattie neurodegenerative. Il suo topo trasparente ha fatto il giro del globo. Ora, tra le varie sfide che l’attendono, ce n’è una irta di ostacoli, che però non dipendono dalle sue “skills”. “Fake chinese girl”, come  chiamano Riuyao Marika Cai i colleghi nel laboratorio di Monaco, ha chiesto la cittadinanza italiana a luglio 2018, finora senza riscontri, non hanno nemmeno aperto la pratica. E sa che per chiuderla ci potrebbero volere anche 5 anni.
Perché la chiamano Fake chinese girl?
«Nel laboratorio di Monaco ci sono ricercatori da tutto il mondo, anche cinesi ma per tutti sono una cinese atipica, ho un modo di fare, una cultura, una gestualità tipicamente italiane».
E lei come si sente?
«Io mi vedo italiana ma non penso che la cosa sia reciproca, gli italiani mi vedranno sempre come una cinese».
Facciamo un passo indietro: quando è arrivata in Italia?
«A 5 anni, nel 1994. I miei genitori all'epoca lavoravano in un ristorante gestito da italiani a Milano. Ora hanno un'agenzia di viaggi in zona Chinatown. Mia mamma partorì dopo che si era sposata con mio papà in Cina. È stata 5 mesi con me e poi sono stata cresciuta dai  nonni materni e da uno zio in un paesino in montagna nel Zhejiang, da dove arriva la maggior parte dei cinesi in Italia.  Quando ho compiuto 5 anni mio padre è venuto a prendermi. Io non volevo partire, lasciare i miei amici, i nonni. Però una maestra di asilo mi ha convinto».
A Milano ha compiuto i suoi studi. 
«Liceo scientifico Cremona, laurea triennale in biotecnologie alla Bicocca, laurea magistrale in biotecnologie mediche sempre alla Bicocca. E ora dottorato in neuroscienze a Monaco. Ho fatto anche un tirocinio di 4 mesi ad Oxford».
Perchè non è rimasta in Italia?
«Ho capito che se volevo fare carriera dovevo rischiare e uscire dalla mia “comfort zone”. Poi a Milano nel mio campo non sentivo un clima così vibrante anche se mi hanno preparata molto bene».