mercoledì 8 agosto 2018

Kuki Gallmann, la trevigiana che rischia la vita per l'Africa


Si definisce «un’ambientalista e una sopravvissuta», Kuki Gallmann, «e sopravviverò fino a che non arriverà il mio tempo, e allora don’t cry for me». Ride. Il suo tempo non è arrivato l’anno scorso, quando un gruppo di miliziani le ha sparato nei pressi della sua riserva naturale Ol Ari Nyiro in Kenia. È sopravvissuta a dolori che avrebbero abbattuto altri: la morte negli anni ‘80 del marito Paolo Gallmann, l’agronomo con il quale 45 anni fa aveva deciso di trasferirsi in Africa dalla natia Treviso, e poi quella del figlio, morso da un serpente. Lei non ha mollato, insieme alla figlia Sveva ha trasformato la sua tenuta in un’oasi di biodiversità di 400 chilometri quadrati, un lembo di foresta vergine candidato a diventare patrimonio dell’Umanità. Nelle foto aeree è una macchia verde in mezzo al giallo della deforestazione, dove sopravvivono elefanti, rinoceronti e altri animali ed essenze altrove estinti. 

La sua storia di amore e resilienza è piaciuta ad Hollywood ed è diventata un film con Kim Basinger, tratto dalla sua autobiografia “Sognando l’Africa”. Ora è un splendida 74enne vulcanica, a Milano per il Festival dei diritti umani in corso alla Triennale fino a sabato dove si parlerà di cambiamento climatico e diritti. Durante l’intervista vede il piccolo registratore: «Lo usavo anch’io, quando registravo di nascosto i piani dei bracconieri».
Come una spia?
Come honorary warden, guardacaccia onoraria per la tutela della natura, ma è una storia lunga.
Chi e perché le ha sparato Kuki?
È  stata un’imboscata delle varie milizie che in Kenia girano con armi legali per fini illegali. Era il periodo della siccità, prima delle elezioni e alcuni politici locali volevano la nostra terra. Altri, a furia di minacce e incendi hanno venduto, noi no e così c’è stato l’agguato. Poi dopo le elezioni e la pioggia la situazione si è normalizzata. Restano i bracconieri.
Come si conciliano la difesa dell’ambiente con le esigenze  della popolazione locale più povera. Non è un lusso?
No, non siamo un’isola, i nostri alleati sono i nostri vicini  che coltivano granturco e hanno bisogno dell’acqua che abbiamo nella nostra riserva e a cui abbiamo insegnato ad allevare le vacche in modo sostenibile. Le più belligeranti sono le popolazioni  più lontane. È in corso un allevamento indiscriminato, i ricchi di Nairobi riciclano i loro soldi in bestiame, che rende molto, ma non hanno la terra buona e così nascono i conflitti.
Com’è cambiata l’Africa in questi 45 anni?
Il cambiamento più grande è stato l’aumento della popolazione, la pressione demografica che consuma l’ambiente unito al cambiamento climatico che crea situazioni estreme che poi degenerano.
Ho visto che nella sua fondazione che opera nella riserva avete anche un gruppo di acrobati, il Pokot Youth Team. Come mai?
È iniziato tutto nel 2009  da un ragazzo Pokot che avevo arrestato perché aveva ucciso un elefante. Ho pensato che mandarlo in galera sarebbe servito a poco, meglio insegnargli qualcosa di difficile, che gli desse una disciplina. Ora sono 25 gli acrobati e si sono esibiti anche all’ambasciata Usa.
Come mantiene la sua fondazione?
Con il turismo e con diverse altre attività: per esempio produciamo l’unico carbone consentito in Kenia con un sistema su cui lavoro da 30 anni che non emette fumi e che utilizza la Leleshwa, un’essenza che cresce molto velocemente.  Poi stiamo avviando la produzione di oli essenziali da piante locali. 
Cosa le ha dato la forza di superare tutte le prove della sua vita, è credente?
Più che credente sono spirituale, vorrei ospitare a Ori Ari Nyiro un tempio interreligioso della natura, magari invitando anche Papa Francesco, che mi piace tantissimo. Anche in questi giorni ho con me l’enciclica Laudato si'.
Il suo nome è Maria Boccazzi, da dove viene Kuki? 
Mio padre era partigiano, portò in casa un soldato inglese che mi chiamava cookie (biscotto) e così è rimasto.
©Riproduzione riservata  

Pubblicato su Metro  il 21marzo 2018

martedì 7 agosto 2018

Il nostro sogno americano a mano armata



È di pochi giorni fa il rapporto Censis che illustrava l’andamento strabico delle statistiche su sicurezza e delitti. Mentre i reati calano (-10,2 % tra 2016 e 2017) decolla la paura degli italiani che si blindano, si armano, non escono la notte e sono sempre più a favore (il 39%, due anni fa erano il 26%) di norme meno rigide su legittima difesa e concessione del porto d’armi. Posizione condivisa dal ministro degli Interni Matteo Salvini e uno dei punti dell’accordo di governo con i M5s. 

Come quegli adolescenti che soffrono di dismorfismo corporeo e si vedono più brutti di quello che sono, magari per colpa di qualche bullo che soffia sul fuoco, anche noi italiani abbiamo le nostre insicurezze che allargano al forbice tra percezione e realtà. La quale realtà dice che: gli omicidi nel 2017 sono stati 343, quasi dimezzati rispetto al 2008 (erano 611). Di questi 343 omicidi,  secondo una stima per difetto aggiornata ai primi 10 mesi del 2017 i femminicidi sono stati 114, un terzo. Gli omicidi mafiosi sarebbero stati 48 (fonte Istat).