La scuola di inglese e informatica che Atai Walimohammad aveva aperto a 16 anni nel suo villaggio. |
La sua nuova vita Atai l’ha conquistata dopo aver bucato il tubo
della benzina sotto il camion a cui era aggrappato da 22 ore. Non ce la faceva
più: «Volevo che si fermasse». Appena il mezzo ha rallentato lui ha mollato e
si è messo a correre, non sapeva dove fosse. Era in Puglia, era il 2012 e lui
aveva solo 16 anni, una vita già zeppa di sogni e tragedie, iniziate nel suo
villaggio in Afghanistan, pattugliato di giorno dai governativi e di notte dai
talebani. Oggi Atai Walimohammad ha 21 anni, sta finendo a Pavia la laurea
triennale in scienza della mediazione linguistica, sa sei lingue (compreso
l’arabo e il bengalese) e il suo lavoro è occuparsi di richiedenti asilo nei
sei centri gestiti dall’associazione Lia che opera in Puglia e in Lombardia.
Lui coordina la start up, l’organizzazione logistica, e il primo approccio
nella gestione dei rapporti con le comunità locali che spesso mal volentieri
ospitano questi centri. Insegna l’italiano e conduce laboratori artistici per i
rifugiati, la scultura è un’altra sua passione. «Ho imparato da solo,
all’inizio facevo cose bruttine, ora vedo che piacciono, mi definirei un
artistino, non proprio un artista».
Atai con una delle sue sculture |
Atai vuole che la sua storia sia conosciuta, va nelle scuole a
raccontarla «perchè la gente capisca come mai noi rifugiati veniamo qui».
Una vicenda, la sua che racconta di come in 17 anni di guerra in
Afghanistan le cose siano solo peggiorate, di un padre medico ucciso dai
talebani perché invitava i bambini a non andare nelle madrasse ma a scuola, di
un fratello medico torturato fino a impazzire perché non voleva mettersi al
servizio esclusivo dei talebani (ora è a Crotone, in attesa di cure), di un fratellino
fuggito in Germania. E poi c’è lui estroverso e affamato di cultura, che ha
imparato tutto da solo leggendo i libri del padre, quando ormai le scuole non
c’erano più: «La mia più grande gioia era aver aperto una scuola di inglese e
informatica nel mio villaggio, con l’aiuto dell’esercito afgano e americano,
per strappare i bambini alle madrasse. Venivano in tanti». Ma poi sono
arrivati i talebani, hanno distrutto tutto e lui è fuggito, prima in Iran, poi
in Turchia, in Grecia, nove mesi di odissea fino a quel viaggio sotto il
camion. Prima è stato accolto in una comunità per minori a Lecce, poi in
un centro di Foggia. La svolta quando la sua conoscenza autodidatta delle
lingue lo ha reso utile come interprete e mediatore, fino a farne una professione.
«Sono stato fortunato, ma la legge italiana non aiuta».
Atai nel centro di Capriate |
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Pubblicato il 19 giugno 2016 su Metro
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