sabato 6 gennaio 2018

In Indonesia un unicorno fa paura a Uber

Folla di mototaxi di diversi operatori a Jakarta. Foto Paola Rizzi
Makassar, capitale di Sulawesi, remota isola indonesiana, uno dei porti più importanti del sud est asiatico, un milione e mezzo di abitanti e il solito traffico bestiale delle città orientali. Alla richiesta di un taxi per andare alla stazione degli autobus la receptionist dell’albergo suggerisce di chiamare Uber perché risparmiamo il 40%. Ci pensa lei smanettando sullo smartphone. Arriva un auto privata con un autista di poche parole e un baule piene di cose sue, ma tutto procede bene. Qualche giorno dopo alla stessa impiegata, ormai navigati, chiediamo direttamente di prenotarci Uber per andare all’aeroporto. “No, per l’aeroporto conviene Grab” e di nuovo si china sullo smartphone. Questa volta il driver è gentilissimo, anche se la pulizia dell’auto lascia un po’ a desiderare.
Foto Paola Rizzi

 Ci spostiamo a Jakarta, 10 milioni di abitanti: il traffico è infernale, le distanze siderali, circa 5 milioni e mezzo i veicoli circolanti, quasi tutti privati e un sistema di trasporto pubblico complessivamente irrilevante. La soluzione? Il tradizionale mototaxi asiatico, l’ojek, capace di sfrecciare tra le auto in coda ma aggiornato all’epoca delle app: ai semafori folle di motociclisti con i loro passeggeri sul sellino si disputano centimetri di asfalto, ciascuno con la pettorina e il casco della compagnia di riferimento, Uber e Grab, ma il vero colpo d’occhio è dato dai caschi verdi dei drivers di Go-Jek. Per ora la compagnia è attiva solo in Indonesia, a differenza di Uber che opera a livello globale, e di Grab, azienda di hail-riding di base a Singapore ed diffusa nel Sud Est Asiatico. Ma Go-Jek è stata inserita quest’anno dalla rivista Fortune’s al 17esimo posto nella lista delle 56 compagnie destinate a “cambiare” il mondo, dietro Vodafone e tre posizioni sopra Enel, ed è l’unica azienda indonesiana nell’elenco dei cosiddetti “unicorn”, le start up valutate al di sopra del miliardo di dollari.
Mentre in Europa siamo nel pieno della discussione pro o contro Uber e la compagnia californiana vive tempi duri, dopo il ritiro della licenza decretato pochi giorni fa dall’autorità dei trasporti di Londra per ragioni di sicurezza, c’è un’altra parte di mondo dove Uber suona già come qualcosa di arcaico rispetto ai nuovi rampanti competitors agevolati da mercati ancora selvaggi.  


Foto Paola Rizzi

Nel Sud Est asiatico sia Grab che Go-Jek sono avversari temibili per Uber, che ha già dovuto abbandonare la Cina. Il profilo dei fondatori ricalca gli smart guys della Silicon Valley. I malesi Antony Tan, 35 anni e Tan Hooi Ling, 34, una delle poche donne ai vertici di  start up tecnologiche, hanno fondato Grab nel 2012. L’indonesiano Nadiem Makarim , 33 anni, ha inaugurato Go-Jek nel 2010 con 20 drivers, ma il vero lancio della app è avvenuto nel 2015. Tutti e tre si sono conosciuti ad Harvard e ostentano lo stesso look informale dei veri nerd modello Zuckerberg. Volendo si può guardare su Youtube il video di Makarim che canta un rap al suo matrimonio a Bali.  Grab offre i suoi servizi di taxi e mototaxi in 50 città in Malesia, Indonesia, Filippine, Vietnam e Myanmar. Tra i suoi finanziatori  SoftBank, il colosso delle telecomunicazioni giapponese dietro al successo di Alibaba e curiosamente lo stesso che proprio in questi giorni ha deciso di puntare 10 miliardi sul principale concorrente, Uber. 
 In Go-Jek hanno investito capitali soprattutto i cinesi di Didi Chuxing (che nel 2016 ha acquisito l’Uber cinese) e JD.com, rivale nell’e-commerce di Alibaba. I numeri di Go-Jek parlano di 200mila drivers in 25 città  dell’arcipelago che oltre al trasporto passeggeri offrono un’infinità di servizi, compresi quelli di food delivery, consegna pacchi e persino massaggi a domicilio, a cui recentemente si è aggiunto anche una flotta di auto e furgoni on demand.
Dal sito www.techinasia.com la diffusione delle app di ride hailing nel Sud Est Asiatico

Quello che sembra chiaro è che l’Indonesia è destinata a giocare un ruolo chiave nella selezione darwiniana dei gestori. Secondo un rapporto del 2015 a cui ha collaborato Google, proprio nel Sud Est asiatico il settore dovrebbe crescere dai 2,5 miliardi di dollari del 2015 a 13 miliardi di dollari entro il 2025, di cui quasi 6 solo in Indonesia. Un fatto che si spiega facilmente: si tratta di un mercato di 263 milioni di persone, con una penetrazione degli smartphone impressionante, a colpi di 7 milioni di device l’anno. Sia Grab che Go-Jek sono inoltre sempre più lanciate nell’e-payment: entrambi stanno promuovendo Grabpay e Gopay approfittando dell’altra lacuna tipicamente indonesiana, oltre al trasporto pubblico, il sistema bancario e la scarsa diffusione delle carte di credito. 

In questa corsa furibonda ad accaparrarsi fette di mercato a colpi di nuovi servizi e tariffe ribassate, Uber, Grab e Go-Jek hanno trovato un momento di unità a marzo quando il governo di Jakarta ha tentato di regolamentare un settore lasciato totalmente allo stato brado, dopo le proteste  dei gestori di taxi tradizionali da una parte e in qualche caso il malumore dei drivers costretti a condizioni di lavoro peggiorate nel corso degli anni, proprio a causa della competizione all’ultimo sangue. Meno veicoli, necessità di registrazione, maggiori controlli e soprattutto minimi e massimi tariffari prestabiliti e uguali per tutti sono alcune delle regole che il governo ha cercato di introdurre  ma il 22 agosto la Corte Suprema Indonesiana le ha cassate in nome della libera concorrenza. Intanto le principali  compagnie di taxi sono in parte scese a compromessi stipulando accordi con Go-Jek e Uber per condividere una parte di servizi e veicoli.
Foto Paola Rizzi


Sul fronte dei diritti dei lavoratori, soprattutto per quanto riguarda i mototaxi, la situazione è controversa: da un lato pur applicando tariffe inferiori rispetto agli ojek informali, i nuovi drivers grazie alla app lavorano molto di più, guadagnano di più e inoltre hanno qualche forma di assicurazione e cassa malattia. Ma la gara al ribasso sta cambiando velocemente le cose. I capannelli di motociclisti in pettorina ai lati delle strade che compulsano ossessivamente gli smartphone sono la plastica rappresentazione di una guerra che probabilmente lascerà qualcuno sul terreno. 

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Pubblicato su pagina99  il 6 ottobre 2017

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