martedì 30 giugno 2015

La cattiva strada di Sofia Gubajdulina

Sofia Gubajdulina al Museo del Novecento
Quando ho incontrato Sofia Gubajdulina nell’89 nel suo minuscolo  appartamento in un palazzo dell’Unione Compositori alla periferia di Mosca, usciva da anni difficili, in cui era stata “indesiderata”, come diceva lei, isolata dall’establishment culturale sovietico  per la radicalità della sua musica, intrisa di religiosità, giudicata “irresponsabile”.
Con la Perestroika le si erano spalancate molte porte e guardava fiduciosa al futuro dell’Urss e della sua carriera. Ventisei anni dopo, in un mondo distante anni luce, di passaggio  a Milano per un evento organizzato da Divertimento Ensemble, che ha eseguito al Museo del Novecento i suoi De profundis (1978) e Dieci preludi (1974), questa ragazza tartara di 84 anni guarda al futuro con lo stesso sguardo fiducioso. Come vede la Russia di oggi? «Come un malato, che però sta andando verso la guarigione, vedo molti segnali incoraggianti, molta vivacità». 
Indiscussa star della musica contemporanea, Gubajdulina ha mantenuto dritta la barra della sua ricerca musicale refrattaria alle mode e ad ogni ortodossia, capace di tenere insieme gli strumenti della tradizione russa come il bayan e le strutture numerologiche della serie di Fibonacci e della sezione aurea. 
Mai a nessuno è venuto in mente di considerarla quota rosa: Gubajdulina è musicista senza declinazioni, circondata dall’aura dell’artista libera e indomabile, che si è fatta le ossa nei tempi bui della censura sovietica vivendo di colonne sonore e componendo per sé, accanto a compagni di strada e di sventura come Denisov e Schnittke, per poi diventare una dei compositori più celebrati nel mondo.
La passeggiata
Di solito schiva, si è lasciata andare anche a ricordi personali  chiacchierando allo spazio Fazioli con il compositore Gabriele Manca. Dal ’92 vive sola nella campagna vicina ad Amburgo: «Sarebbe molto difficile per me scrivere in una città. Camminare in un bosco mi è necessario per pensare la musica, per lasciare spazio all’intuizione». 
Sofia Gubajdulina all'incontro con il compositore
Gabriele Manca allo spazio Fazioli

La natura è centrale anche in un episodio cruciale della sua vita, quando durante una passeggiata, alla fine degli anni ’60, il compositore estone Arvo Pärt, in crisi creativa le chiese quale fosse il senso del comporre: «Gli risposi che il compositore deve alzarsi alle 6 del mattino, invece di mettersi subito a tavolino deve andare a passeggio nel bosco, camminare a lungo, quindi tornare, senza dimenticarsi di andare a prendere il pane. Dopo questo dialogo Pärt è andato a vivere in campagna, per 8 anni non ha più scritto ma poi ha ricominciato componendo una musica  nuova». Insomma concretezza e pragmatismo per ripartire da quello che lei chiama la sostanza del suono.
L’arte salverà il mondo
Sul ruolo dell’arte e della musica Gubajdulina, al contrario di tanti suoi colleghi più smarriti, non ha timidezze né  incertezze: «Perché scriviamo musica? Per salvare il mondo. L’umanità vive una situazione molto drammatica. Il progresso, la tecnologia, mettono l’intelletto al di sopra l’inconscio, lo spirito si è impoverito, soffocato dalla tecnica. Solo l’arte può ridare la forza allo spirito». 
Per lei ogni opera ripristina l’integrità perduta della vita,  il legato appunto, nel senso di re-ligio, unire e legare il molteplice in un’unità.  Tutta la musica quindi è religiosa, anche se non in un senso strettamente confessionale: «Per me non esiste altra giustificazione alla creatività».
La croce

Una visione che ha una traduzione immediata nella partitura:  «Tutte le mie composizioni sono variazioni sul simbolo della croce: ci sono sempre due elementi contrapposti  che poi ritrovano un punto di sintesi, una catarsi, nell’intersezione». Una predilezione per i contrasti  che si ritrova anche in molti suoi titoli – Vivente – non vivente, Rumore e silenzio, Hell und dunkel (Chiaro e scuro), Stimmen…Verstummen (Voci …ammutolite), Pro et Contra – e che continua a ispirare questa artista irriducibile, a cui Šostakovič augurò di continuare sulla sua “cattiva strada”: «Anche il brano che sto scrivendo ora per la Staatskappelle di Dresda celebra un’opposizione e si intitola Dell’amore e dell’odio.

©Riproduzione riservata

Pubblicato su Cultweek il 30 giugno 2015



L'articolo sull'Unità seguito al mio incontro a Mosca con Sofia Gubajdulina nell'ottobre del 1989

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