Sofia Gubajdulina al Museo del Novecento |
Quando ho incontrato Sofia Gubajdulina
nell’89 nel suo minuscolo
appartamento in un palazzo dell’Unione Compositori alla periferia di
Mosca, usciva da anni difficili, in cui era stata “indesiderata”, come diceva
lei, isolata dall’establishment culturale sovietico per la radicalità della sua musica, intrisa di religiosità,
giudicata “irresponsabile”.
Con la Perestroika le si erano
spalancate molte porte e guardava fiduciosa al futuro dell’Urss e della sua
carriera. Ventisei anni dopo, in un mondo distante anni luce, di passaggio a Milano per un evento organizzato da Divertimento Ensemble, che ha eseguito
al Museo del Novecento i suoi De
profundis (1978) e Dieci preludi (1974), questa ragazza tartara di
84 anni guarda al futuro con lo stesso sguardo fiducioso. Come vede la Russia
di oggi? «Come un malato, che però sta andando verso la guarigione, vedo molti
segnali incoraggianti, molta vivacità».
Indiscussa star della musica
contemporanea, Gubajdulina ha mantenuto dritta la barra della sua ricerca
musicale refrattaria alle mode e ad ogni ortodossia, capace di tenere insieme
gli strumenti della tradizione russa come il bayan e le strutture numerologiche
della serie di Fibonacci e della sezione aurea.
Mai a nessuno è venuto in mente
di considerarla quota rosa: Gubajdulina
è musicista senza declinazioni, circondata dall’aura dell’artista libera
e indomabile, che si è fatta le ossa nei tempi bui della censura sovietica
vivendo di colonne sonore e componendo per sé, accanto a compagni di strada e
di sventura come Denisov e Schnittke, per poi diventare una dei compositori più
celebrati nel mondo.
La passeggiata
Di solito schiva, si è lasciata
andare anche a ricordi personali
chiacchierando allo spazio Fazioli con il compositore Gabriele Manca.
Dal ’92 vive sola nella campagna vicina ad Amburgo: «Sarebbe molto difficile
per me scrivere in una città. Camminare in un bosco mi è necessario per pensare
la musica, per lasciare spazio all’intuizione».
Sofia Gubajdulina all'incontro con il compositore Gabriele Manca allo spazio Fazioli |
La natura è centrale anche in
un episodio cruciale della sua vita, quando durante una passeggiata, alla fine
degli anni ’60, il compositore estone Arvo
Pärt, in crisi creativa le chiese quale fosse il senso del comporre:
«Gli risposi che il compositore deve alzarsi alle 6 del mattino, invece di
mettersi subito a tavolino deve andare a passeggio nel bosco, camminare a
lungo, quindi tornare, senza dimenticarsi di andare a prendere il pane. Dopo
questo dialogo Pärt è andato a vivere in campagna, per 8 anni non ha più
scritto ma poi ha ricominciato componendo una musica nuova». Insomma concretezza e pragmatismo per ripartire da
quello che lei chiama la sostanza del suono.
L’arte salverà il mondo
Sul ruolo dell’arte e della
musica Gubajdulina, al contrario di tanti suoi colleghi più smarriti, non ha
timidezze né incertezze: «Perché
scriviamo musica? Per salvare il mondo. L’umanità vive una situazione molto
drammatica. Il progresso, la tecnologia, mettono l’intelletto al di sopra
l’inconscio, lo spirito si è impoverito, soffocato dalla tecnica. Solo l’arte
può ridare la forza allo spirito».
Per lei ogni opera ripristina
l’integrità perduta della vita, il
legato appunto, nel senso di re-ligio, unire e legare il molteplice in
un’unità. Tutta la musica quindi è
religiosa, anche se non in un senso strettamente confessionale: «Per me non
esiste altra giustificazione alla creatività».
La croce
Una visione che ha una traduzione
immediata nella partitura: «Tutte
le mie composizioni sono variazioni sul simbolo della croce: ci sono sempre due
elementi contrapposti che poi
ritrovano un punto di sintesi, una catarsi, nell’intersezione». Una
predilezione per i contrasti che
si ritrova anche in molti suoi titoli – Vivente – non vivente, Rumore
e silenzio, Hell und dunkel (Chiaro e scuro), Stimmen…Verstummen
(Voci …ammutolite), Pro et Contra – e che continua a ispirare questa
artista irriducibile, a cui Šostakovič augurò di continuare sulla sua “cattiva
strada”: «Anche il brano che sto scrivendo ora per la Staatskappelle di Dresda
celebra un’opposizione e si intitola Dell’amore e dell’odio.
©Riproduzione riservata
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Pubblicato su Cultweek il 30 giugno 2015
L'articolo sull'Unità seguito al mio incontro a Mosca con Sofia Gubajdulina nell'ottobre del 1989 |
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