Ho incontrato Placide Ntole in un pomeriggio bollente nella biblioteca di Cassano d'Adda, dove si faceva intervistare dai ragazzini della locale scuola media. Organizzatore dell'evento Michele Februo, che da anni cura corsi di giornalismo nelle scuole ma soprattutto corsi di formazione giornalistica in un posto scomodo e pericoloso come l'università di Bukavu, nella regione del sud Kivu della Repubblica Democratica del Congo, campo di battaglia di milizie rivali, dove fare il giornalista è un mestiere che accorcia la vita.
Placide Ntole |
“Hai paura di fare il tuo lavoro?”. “Sì certo, ho visto morire
molti colleghi e amici e so che prima o poi potrebbe venire anche il mio
turno”. La domanda la formula un’allieva delle medie di Cassano d’Adda, in
provincia di Milano. A rispondere è un ragazzo di 28 anni, Placide Ntole,
giornalista, danzatore acrobatico, attore, ma ora soprattutto avvocato
specializzato nella difesa dei diritti dei bambini nati dagli stupri di massa
nel Sud Kivu, regione orientale della Repubblica democratica del
Congo, da anni luogo di scorribande delle milizie ribelli sconfinate dal
Ruanda, Burundi e Uganda, in una guerriglia senza fine lascito della guerra che
ha dilaniato l’area fin dagli anni ’90. Minacciato di morte, da alcuni mesi
Placide Ntole è rifugiato all’Aja, ma il 27 luglio tornerà a Bukavu, capitale
del Sud Kivu, nonostante i rischi. Di passaggio a Milano, nei suoi incontri
racconta il calvario di una popolazione sotto la minaccia costante delle
bande ribelli, ridotta alla fame pur vivendo letteralmente su giacimenti di
diamanti, cobalto, oro, coltan, sfruttati illegalmente dalle milizie. Un popolo
straziato dalla piaga degli stupri di massa e dei bambini soldato: «Dall’inizio
dell’anno nella regione sono già state uccise 450 persone e in questo momento
nell’ospedale Panzi di Bukavu, gestito dal dottor Denis Mukwege
(vincitore del premio Sakarov ndr) che cura le vittime di stupro, sono
ospitate almeno 500 donne. Lo so perché sono appena andato a trovare un'
operatrice dei diritti umani che è stata a sua volta stuprata a causa del suo
lavoro».
Chi sono gli stupratori?
Prima erano soprattutto le milizie ribelli straniere, ora anche
i gruppi armati congolesi che esercitano violenza sui congolesi. Lo stupro è
un’arma non convenzionale che serve a terrorizzare la popolazione.
In cosa consiste il suo lavoro?
Lavoro per l’organizzazione SOS Information Juridique
Multisectorielle e ci occupiamo della tutela legale gratuita di tre
categorie vulnerabili: le donne vittime di stupro, i difensori dei diritti
civili, in senso ampio, anche giornalisti, operatori umanitari, e i bambini
nati dagli stupri e non registrati.
Sono molti i bambini in questa
situazione?
È impossibile dare numeri, sono
migliaia, sono bambini senza diritti e identità perché le loro madri hanno solo
tre mesi per registrarli all’anagrafe, dopo di che per poterlo fare devono
intraprendere un iter giudiziario molto costoso. Molte donne non sanno quello
che devono fare, o si vergognano, perché la comunità le stigmatizza nonostante
siano loro stesse vittime, quindi sono vittime due volte. I loro bambini sono
fantasmi: non possono andare a scuola, non hanno assistenza sanitaria, non
possono uscire dal paese. Noi finora siamo riusciti a dare una carta di
identità e una nazionalità a 200 di questi bambini. Ma stiamo anche facendo
un’azione di lobbyng assieme a molte altre organizzazioni perché sia varata una
legge che consenta una registrazione collettiva di questi bambini, sanando
questa tragica violazione dei diritti.
Il governo vi aiuta o vi
ostacola?
Il governo congolese non è
abbastanza forte e la comunità internazionale si disinteressa completamente
delle violazioni continue dei diritti umani nella Repubblica Democratica del
Congo. Anche l’Unione Africana è debole.
Lei è sua volta vittima.
Noi ci occupiamo di tutelare e istruire gli operatori umanitari
che sono in pericolo e quando è necessario li trasferiamo. La stessa cosa è
capitata a me: mi ha telefonato un capo dei ribelli dopo che avevo visitato una
certa zona e mi ha detto che se fossi tornato mi avrebbe ucciso, sono andato a
denunciare il fatto all’esercito regolare, e dopo il capo delle milizie mi ha
richiamato, sapeva tutto. Meglio cambiare aria per un po’.
©Riproduzione riservata
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Pubblicato su Metro il 15 giugno 2015
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